30 novembre 2009

- Il Triangolo


Nei libri di geometria si legge che il punto è un ente geometrico che non ha dimensioni. Quindi il punto è una mera congettura, una convenzione. É da chiedersi: il punto è una ipotesi progettuale o è una monade? É forse un ente allo stadio utopico? Su questo si scontrano religioni e filosofie di tutti i tempi; vedasi l'Uno di Pitagora, di Platone e dei neo platonici.
É interessante quanto scrisse nel 1684, nelle sue «meditazioni», il filosofo tedesco Gottfried Wilhell Leibniz: « Monade significa una sostanza individuale e spirituale che
riproduce in sé stessa la struttura di tutta la realtà.» È evidente che questo termine è assunto in senso metafisico, sospeso tra l'essere e il non essere, già connotato di individualità.
Il punto come unità.
Tentiamo di determinare una consequenzialità dalle congetture e dai fenomeni. Se si uniscono tre punti nello spazio si ha la prima figura piana, la prima elementare manifestazione razionale, si ha il primo stadio della realizzazione di qualsiasi progetto. Lo sanno bene i matematici e gli ingegneri che il sistema della triangolazione è alla base di tutti i problemi di calcolo e di misurazioni perfino in astrofisica e geodesia.
Quindi, mentre il punto è la verità in senso assoluto, la prima figura piana, il triangolo diviene lo strumento di mediazione tra l'astrazione e la realtà. Si palesa così in modo inequivocabile la prima testimonianza del pensiero razionale; si manifesta la ratio, la quale media la verità e la realtà. Sui banchi di scuola ed oggi sull'impalcatura, mentre affresco questo simbolo, subisco il fascino del suo mistero. Quest’immagine elementare diviene forma, diventa realtà fisica se alla bidimensionalità aggiungo la terza dimensione, quella spaziale, lo spessore. La quarta dimensione, quella temporale, è da prendere in esame successivamente. Ebbene, questo è il momento magico della creazione. Questo è il motivo per cui Leonardo da Vinci dispose la sua Mona-Lisa leggermente obliqua. Cito Leonardo, ma potrei citarne altri come Donatello, Scopas ecc. Ne consegue che il parto creativo è struttura, è forma reale anche nella luce, nel pensiero, nella musica; è il momento in cui si manifesta la realtà. Hegel dice: «É reale ciò che è razionale.» Noi usiamo dire che la verità è in mens Dei, tant'è vero che il pensiero, quale ente astratto, è stato rappresentato sempre da un occhio: immagine più comprensibile di un punto, e per la sua dimensione umana in cui l'uomo ha bisogno di identificarsi e per la sensazione di presenza vigile dell'Ente Supremo. Non c'è dubbio però che quell'occhio è il punto, il sole, la monade di Pitagora; è l'ente geometrico che non ha dimensioni, è il pensiero, la verità, la vita.
Verità, realtà, vita.
La realtà, fase che succede alla verità, è quella che ci coinvolge nella totalità esistenziale, nella totalità del pensiero e dei sensi: è la stessa filosofia dell'esistenzialismo. Ne consegue che la struttura, nel momento in cui determina una forma, cioè nel momento stesso che subentra il meccanismo strutturante, origina la materia. La struttura è il processo creativo, logico, dell'intelligenza attiva. Per converso, la materia stessa, nel suo ridursi ad ente infinitamente piccolo diceva Einstein, diviene energia. Ora,...che il passaggio dal pensiero alla forma..., dall'energia alla materia e viceversa, venga prodotto dalla quarta dimensione, la velocità (massa per velocità della luce al quadrato), questo poco importa ai fini di questa disamina; anche se ritengo utile ricordare che l'Osservatore Romano alla morte di Einstein asserì che questi si era convertito. Ciò per il fatto stesso che la scoperta dell'energia, nell'infinitamente piccolo, equivarrebbe alla scoperta scientifica dell'anima. Non sfuggirà quanto suddetto del passaggio pensiero-forma. É un argomento questo di ben più vaste proporzioni filosofiche perché implica l'accettazione della preesistenza del pensiero, la progettazione dell'universo. Sant'Agostino, quando parla della Trinità, riduce ad unità materia e spirito da cui scaturisce per sinergismo - non certo in ordine di tempo la vita. Unità questa che sussiste nella stessa logica del creato. Detto pensiero è stato molto deviante per cui diviene dogma (mysterium fidei). Gli stessi dotti della chiesa cattolica, nella ricerca della verità subirono e subiscono disorientamenti. Si pensi alle incomprensioni patite da S. Francesco ed i suoi fraticelli per quella filosofia solo apparentemente prosaicamente panteista alla quale il Papa attuale s'informa. Mi preme ora far notare che l'uomo primitivo quando prendeva coscienza di sé, manifestava la propria presenza con il ricorso alla geometria. Esaltato dalla scoperta di una forma pur minimale, come questo triangolo che ora vado dipingendo, su di essa e con essa organizzava l'evoluzione del pensiero e, quindi, della propria civiltà. Come del resto si entusiasmano i bambini quando dalle espressioni grafiche occasionali, dalla propria gestaltica passano alle prime forme organizzate razionalmente.
Tornare all'infantile.
Nel passato si è avuta la civiltà del triangolo. Dagli studi fatti ricordiamo il tesoro d'Atreo, le mura di Tirinto, le strutture Lidiache, la porta dei leoni di Micene. Senza andare tanto lontano un esempio interessante si ha qui vicino a noi, ad Alatri. Certamente dal XVI-XV sec. a. C. in poi il triangolo non veniva limitato alle strutture architettoniche, ma anche a quelle del pensiero: «il passato, il presente, l'avvenire», «la saggezza, la forza, la bellezza», «la nascita, la vita, la morte», «la luce, le tenebre, il tempo». La Pietra filosofale, con i suoi tre principi, «il sale, lo zolfo, il mercurio», fece parte di una cultura pre-umanistica nel medioevo. La chiave di volta del Cristianesimo non è forse l'assunto della trilogia antropomorfa della Trinità? Ed ancora: Brahama, Siva, Visnù in India, come, del resto, la simbologia pagana antica e non. Le fasi primitive delle varie civiltà sono sempre state geometriche. È questa tesi che ci conferma se un popolo ha origini autoctone o è di derivazione: vedi la civiltà romana, la quale nascendo dalla fusione di quella greca e quella etrusca, non ha attraversato la fase geometrica. Il triangolo lo vediamo, tra l'altro, nell'incedere della nuova logica che la cultura europea veniva sostituendo a quella vecchia nei primi anni di questo secolo. Gli artisti vollero ribellarsi in forma spettacolare a quella che definivano la logica bellica dei guerrafondai, la logica antiumanista della ferrea legge della civiltà industriale. Nacque il «dadaismo» quale denunzia. La Terra, come la mater-matuta nelle antiche civiltà era considerata sempre feconda e sempre vergine. Questa sinusoide per i dadaisti era irrazionale tanto che, per diffondere il messaggio Dada un certo Hugnet, a Parigi, distribuì dei volantini nei quali affermava che anche la Madonna fu dadaista per aver sovvertito la logica del reale. A questo periodo di rottura seguì quello affannoso di una risalita verso la logica. Quindi i futuristi ed i cubisti, gli artisti della Bauhaus dei Weimer e di Dessau ricominciarono a ristrutturare in modo infantile una geometria elementare con il punto, la linea, il triangolo. Nella purezza dell'infantilismo erano ricercati nuovi equilibri nelle forze contenute nel triangolo. In Massoneria si usano i tre punti quale sintesi del Delta, del Triangolo divino. Il pittore Attanasio Soldati agli inizi del '900, insieme a Mario Radice ed altri, disse: «Dimostreremo il lirismo della geometria.»
Triangolo equilatero e verità.
È d'uso corrente un testo di psicologia nel quale, con una certa grafia triangolare, si tende a dimostrare l'intelligenza riflessiva di speculazione intellettuale, filosofica e spirituale. Per far capire ai miei allievi il potere di persuasione occulta del triangolo, affidavo ad essi uno isoscele a sviluppo verticale, uno a sviluppo orizzontale egualmente isoscele ed uno equilatero. Ebbene, nel momento di inserire degli elementi grafico-decorativi era inevitabile che accadesse un fatto interessante. In quello verticale il senso di leggerezza era l'aspirazione costante delle fragili linee ivi inserite, come nell'architettura gotica. Nel triangolo a sviluppo orizzontale - come nei frontoni dei templi pagani si rilevavano elementi ritornanti fortemente al suolo con curve energiche e ribassate. Nel triangolo intermedio, invece, quello equilatero, si evidenziava il dramma della ricerca, si scatenava il dualismo tra realtà ed astrazione; in questa fluttuante instabilità gli artisti hanno ravvisato le linee di tensione emotiva dei grandi temi della vita, la tensione egualitaria delle verità fondamentali come nella simbologia acquisita. Non a caso quella «G» che si trova nel «Delta» o nella «Stella fiammeggiante» significa la struttura di tutte le realtà: Gravitazione, Geometria, Generazione, Genio, Gnosi. Oppure semplicemente God; Grande Architetto.
Dante Alighieri edificò il poema della Divina Commedia in struttura triangolare. Sulla base fortemente ancorata, quella dell' «Inferno» passionale e magmatica, egli volse la sua opera verso l'astrazione, la transumanazione (termine che egli stesso usa). Si volge verso l'incorporeità, verso la Luce come nel pensiero degli egizi (si veda in particolare la piramide di Chèope). Ciò dimostra ulteriormente che nella struttura del triangolo equilatero ci si dibatte alla ricerca della Verità, come del resto avviene nella metafisica del quotidiano degli artisti.
Il triangolo nell'arte.
Nel triangolo della Pietà michelangiolesca, quella del Vaticano, l'artista congela le contraddizioni etiche sia nella composizione che nei ritmi plastici. L'arco del Cristo, in quel triangolo, aderisce al dramma della vita e la luce ne plasticizza la forma, mentre il panneggio retrostante è vibrato dal contrapposto. Intanto la giovane madre diciotto-ventenne, ed il maturo figlio trentatreenne sembrano sfuggire alla realtà, mentre aderiscono ad una logica solo apparentemente irrazionale. Anche Bramante ed il Palladio, nelle composizioni dalle strutture organiche triangolari, tendevano alla ricerca di quegli equilibri. A questo proposito mi piace ricordare che Michelangelo scrisse all'Ammannati che il progetto nucleiforme di S. Pietro, fatto dal Bramante, era più vicino alla VERITÀ di quello del Sangallo. Anzi quest'ultimo si era discostato dalla verità. Tra il Bramante ed il Palladio esistono delle differenze che non sto qui ad evidenziare, ma entrambi partivano da una progettazione frontale triangolare. Leonardo da Vinci tenta di chiudere in strutture triangolari alcune sue composizioni. I suoi triangoli erano immersi in paesaggi, ma conclusi nel loro sfumato plastico. Egli, Leonardo, è stato un seguace della filosofia metafisica della matematica di Pitagora, Cusano ed altri. Egli realizza un'opera dalla coerenza stilistica ai limiti dell'umano: la Gioconda. Mona-Lisa, col suo sorriso e con le sue alterazioni biomorfologiche, evidenti nelle tumefazioni temporali e delle mani, è compiaciuta di essere depositaria del mistero della trasmissione della vita. Dal freddo surrealismo dell'ambiente retrostante, nel triangolo in cui si raccoglie e si solidifica l'immagine, è presente la vita.
Simbolismo geometrico.
Ad ulteriore sostegno di tutto ciò che ho detto citerò quanto ha scritto Nikolaus Chrypffs, il cardinale vissuto nella prima metà del 1400, appunto il Cusano al quale ho fatto riferimento prima: «La prima divinità può essere attinta solo attraverso immagini simboliche geometriche. » Pitagora, Cusano e Giordano Bruno sono vicini a detta logica con la loro matematica magico-simbolica.
Pur nel timore di non essere stato abbastanza rigoroso nella logica di quanto detto, non posso che concludere affermando che il Punto, la Monade delle monadi, il Sole, l'Occhio, non poteva che essere inserito in un triangolo equilatero, una struttura geometrica elementare le cui forze, quelle antitetiche dell'universo, vanno alla costante ricerca della perfezione nell'equilibrio: il progetto del GADU.
MANLIO MANVATI

24 novembre 2009

- Etica


L’escursus di questa tavola sarà anomalo, partirò dalla profanità, intesa come crogiuolo dell’umana creatività, per ricercare nel suo guazzabuglio gli elementi che possono condurre ad una loro mescolanza nell’Atanor della Spiritualità, agendo alchemicamente, come espressione del pensiero, passando attraverso le tre fasi alchemiche: nigredo, albedo, rubedo. Mi avvarrò, quindi, di una ricerca suggestiva, come quella cinematografica, estraendo dalle pellicole, films da tutti conosciuti, il messaggio etico che vi ho trovato e che inconsapevolmente o meno, il regista ha espresso e che il sottoscritto ha preteso di intravedere nella trama,immagini, suoni e parole recitate dai vari protagonisti.
Pertanto, i films, saranno la traccia per lo sviluppo dell’argomento, che si suddivide in varie esposizioni, attraverso la finzione cinematografica, per giungere a quella reale della vita.
Partiamo dalla etimologia:Etica dal greco “ethos” (costume).
L’etica è il costume, la consuetudine;essa forma quella parte della filosofia che si occupa del comportamento umano che studia la condotta umana, i movimenti che la determinano e le valutazioni morali. Un complesso di norme di comportamento (non leggi) in contrapposizione ad un atteggiamento individuale - interessato.
Si suole identificarla con la morale che designa invece, un’etica orientata per l’applicazione delle giuste azioni e l’individuazione di quelle sbagliate, da cui i concetti del bene e del male utilizzati nelle religioni, ma anche nella vita quotidiana.
-Etica di ieri e quella di oggi - quello che prima non era giusto oggi lo può essere, è il male che diventa il bene o è un rilassamento delle coscienze; essere nel bene è più difficile in questa epoca del consumismo sfrenato (colpa messaggi pubblicitari - stultificazione).
L’etica è il filtro delle nostre azioni duali, è il bivio del nostro comportamento, dove l’azione può divenire mezzo di difesa (a beneficio di tutti) o di offesa (a beneficio del singolo) “mors tua vita mea”. Ma cosa forma l’etica? La filosofia, la conoscenza, l’acquisizione della scienza e del sapere; e ci si domanda, ancora,l’agire comune è sempre conformato all’etica? vedremo se vi è risposta.
Il nostro percorso si svolge attraverso una articolazione dell’etica in: - etica nella filosofia, - etica nella politica, - etica nella famiglia e nei giovani, - etica nelle nazioni (come rispetto degli esseri umani), - etica nella industria, - etica nelle religioni e nella massoneria.
-L‘Etica nella filosofia; è consapevole dei propri limiti, come quella socratica fondata sul “sapere di non sapere” alla ricerca del vero, del bene, del giusto, pronta sempre a confutare le proprie posizioni dopo un confronto, per liberarci dagli errori e per essere più liberi e felici.Quindi confutazione come argomentazione dialettica e non semplice conversazione, come insegna Aristotele; dimostrare l’incompatibilità fra determinate posizioni come il rispetto assoluto per la vita e la disponibilità all’aborto ed alla eutanasia.
Dunque l’”etica” come parte della filosofia che si occupa delle azioni e del comportamento dell’individuo in rapporto con la società e con se stesso (R. Chissotti - moderno dizionario massonico ed. Bastogi).
Tale definizione sposa integralmente il principio massonico “fai agli altri tutto ciò che vorresti fosse fatto a te”, che ha come pietra d’angolo “conosci te stesso” (prima di poter intraprendere qualsiasi cammino, dunque studio e conoscenza).
Nel pensiero greco, il problema etica-morale (ricerca dei mezzi atti a concretizzarla), viene affrontato come problema della felicità, realizzazione della natura umana e dell’armonia, quale perfetto equilibrio fra vita esteriore e quella interiore.
Massima virtù resta la giustizia, come capacità di equilibrare l’individualismo con il sociale, assicurando legalità ed uguaglianza nell’ordine delle nazioni.
Continuando, esaminiamo l’etica, come riflessione rinascimentale, basata sul naturalismo ottimistico di Giordano Bruno, per giungere all’empirismo settecentesco con la critica del razionalismo in termini di morale naturale, infine l’illuminismo porta all’adozione della morale utilitaristica, per giungere a quella (l’etica) che la massoneria considera come l’insieme delle regole e dei principi morali e comportamentali compresi nella Costituzione e nei Regolamenti dell’Ordine e dibattuti nel corso delle Tornate di Loggia.
Interessante per il contesto generale è prendere in esame sia pur in forma breve la “Summa” di San Tommaso d’Aquino; che all’interno del primo volume (prima secundae) parla degli atti umani (q.6-89), in quanto volontari e liberi ed in quanto tale esso non è moralmente buono nella misura in cui è conforme alle regole della ragione evangelicamente rettificata (q.6-21).
Per giungere nel secondo volume (secunda secundae) al concetto di azione (morale) che è tale se si serve correttamente dei mezzi giusti in vista del fine buono;ciò non è possibile se non grazie ad una ragione che sappia consigliare, giudicare e comandare.
Nel neoplatonismo (quale interpretazione del pensiero di Platone in età ellenistica) troviamo il principio dell’etica-razionalista.
Il suo diffusore in chiave occidentale fu Plotino che a Roma fondò una scuola neoplatonica, che ha origine dal pensiero razionalista di Parmenide e degli aleatici, basato sull’identità di “Essere e Pensiero“;concetto ripreso da Cusano, Pico della Mirandola, Sant’Agostino, San Bonaventura, M. Ficino, che consideravano l’Uno come principio dell’Emanazione;che in G. Bruno si traduce in ottica panteistica, dove la verità oggettiva è tale quando prende coscienza nel soggetto.
Tutto ciò è Etica da riscoprire e riproporre per la salvezza dell’individuo, che come unica radice la si ritrova nel pensiero dell’uomo che rivolge il suo sguardo verso l’Alto trascrivendo le sue meditazioni o trasmettendo oralmente le sue riflessioni ai suoi allievi, come avveniva per i filosofi antichi. Nessuna trasposizione cinematografica.
-L’Etica nella politica- seguendo la prima traccia cinematografica, l’occasione ci è offerta dal film “Il Gattopardo” tratto dall’unico libro del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
La pellicola del ‘63 fu realizzata dal regista Luchino Visconti con una trasposizione eccellente, bella quasi quanto il romanzo. Il cast di livello internazionale era formato da :C. Cardinale, Burt Lancaster, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Alain Delon ed altri interpreti.
Con l’opera si raffigura un periodo di grande importanza per l’unità d’Italia, ed esattamente subito dopo il “sacco piemontese“, con la conseguente annessione della Sicilia al resto d’Italia;quindi il suo passaggio dalla casata dei Borbone a quella Sabauda.
Un cambiamento epocale dopo la consegna della nascente Italia dal generale G: Garibaldi nelle mani del re V:Emanuele II, dove “tutto sembrava cambiare, affinché nulla cambiasse“, come sentenziava il Principe di Salina a colloquio con l’inviato del nuovo regnante che offriva una carica di senatore al principe, il quale pur rifiutando sosteneva questo nuovo connubio, più che ambiguo, fra la nascente borghesia e la eventuale trasformata o in fase di trasformazione, della vecchia aristocrazia siciliana.
Sta per sorgere, almeno questo era l’intento, una nuova rappresentazione politica dei “nuovi italiani” utilizzando in pratica vecchi pezzi di coloro che già rappresentavano il potere. Ma da subito si erano disseminati sémi cattivi che avrebbero prodotto cattivi politici e molti politicanti, non servitori dello Stato e rappresentanti dei cittadini, ma al proprio servizio. Il Principe aveva ragione “tutto si cambia, per non cambiare nulla”.
Ma da dove si ricava il concetto di Etica nella politica, quando è che è nata, se mai è nata!
Tutto si ritrova nel colloquio che Don Fabrizio, il Principe, ha nel suo studio con Chevalley incaricato dal nuovo governo, di offrirgli l’alta carica di Senatore; a questo punto rileggiamo questo colloquio:
Chevalley- dopo la felice annessione….. volevo dire…. dopo la fausta unione della Sicilia al Regno di Sardegna, è intenzione del governo di Torino di procedere alla nomina a Senatori del Regno d’Italia di alcuni illustri siciliani…… si è subito pensato al suo nome.
L’inviato si aspettava una rapida accettazione;ma il principe già pronto al rifiuto, chiede che cosa rappresenti veramente questa carica.
Principe- che cosa è veramente questa carica,un semplice appellativo onorifico, una specie di decorazione? O bisogna svolgere funzioni legislative, deliberative?
Il piemontese, il rappresentante del solo Stato liberale italiano s‘inalberò:
Chevalley- ma … Principe il senato è la Camera Alta del Regno:in essa il fiore degli uomini politici….. Propongono il progresso del paese;… adesso la Sicilia non è più terra di conquista ma libera parte di un libero Stato.
Principe-… L’intenzione è buona ma tardiva;
Il principe parlava ancora piano e disse:tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche e desiderio di oblio.
Chevalley -… ma… non le sembra di esagerare un po’, principe? Io stesso ho conosciuto a Torino dei siciliani emigrati Crispi … tutt’altro che dei dormiglioni.
Principe- non posso accettare…sarei un legislatore inesperto, avete bisogno di persone non compromesse con i vecchi tempi, giovani con la mente aperta, giovani svelti ..; e suggerisce il nome di Sedara…
Chevalley- Principe… ma se gli uomini onesti si ritirano, la strada rimarrà libera alla gente senza scrupoli…
Il rifiuto se pur giusto e motivato del principe, è stato il prodromo per la non creazione di una corretta genia di rappresentanti governativi e quindi di una giusta etica; ancora oggi se ne cerca il valore mai formatosi, in quanto nata già con un vizio di origine e chissà mai quando si formerà. Altra trasposizione cinematografica per una riflessione sull’etica nella politica ai giorni nostri è emblematicamente rappresenta da un famoso sketch quello del “vagone letto” del ‘52 con Totò protagonista e Mario Castellani sua impareggiabile spalla nella parte del politico. Castellani è il prototipo del politicante che si è formato dopo l’unità d’Italia;tronfio e pettoruto, senza arte né parte, ma forte nei suoi privilegi, che si connotano tutti nel momento della sua conoscenza con l’altro occupante il vagone letto (Totò)..:“… io sono l’Onorevole”…. e Totò (Fr:.) di rimando … ”chi?”… e squadrandolo da capo a piedi e accompagnandosi con un gesto della mano, ribatte..”… ma mi faccia il piacere..”.
-L’etica nella famiglia e nei giovani-
La traccia da seguire in questo caso è una commedia-film “Napoli milionaria” per la prima parte e il film “3 metri sopra il cielo” per la seconda parte.
Ma una prima riflessione la poniamo su cos’è l’etica senza la cultura (intesa come conoscenza);nella equazione etica – cultura - conoscenza, quest’ultima va intesa come terminale finale, riferimento interessante in quanto alla domanda fanno seguito risoluzioni concrete e in tal senso il libro “L’ospite inquietante” di U. Galimberti, che tratta del “nichilismo e i giovani” come causa dell’affossamento dell’etica, intendendo il nichilismo come l’ospite più inquietante, tesi sostenuta anche da Nietzshe.
Nella sua accezione più generale, il nichilismo è la negazione di qualsiasi valore o verità: chi non crede in nulla (come i giovani!!). Perché?
La famiglia, come punto appropriato di partenza, non desta alcun richiamo e la scuola non suscita alcun interesse.
“La musica sparata nelle orecchie, per cancellare tutte le parole, un po’ di droga per anestetizzare il dolore”. L’autore ritiene e sono d’accordo, che tale disagio non è esistenziale, ma culturale e quindi aggiungo la non conoscenza dell’etica come valore originario. Seguono poi la sistematica distruzione delle consuetudini e quindi le falsificazioni dei buoni comportamenti umani come modelli e la ricerca di falsi modelli “simil - commerciali” votati al dio del consumismo e alla sua dea altrettanto falsa del:”voglio tutto quello che tutti hanno”, che hanno prodotto l’abbattimento del “valore del desiderio” come conquista, mercificando ogni scelta senza dare una giusta scala di valori al senso del sacrificio, ponendo sull’altare un altrettanto falso mito:”tutto mi è concesso” quindi tutte le azioni più abiette sono giustificate pur di raggiungere il possesso di ciò che desideriamo.
Come ci ricorda il filosofo rumeno Costantin Noice.”… le stelle si sono ammalate; anche il cielo è malato;anche il tempo è malato;anche la luce è malata;anche il logos è malato. Oggi conosciamo solo anime individuali…”. La mancanza di un futuro come premessa,priva genitori ed insegnanti dell’autorità necessaria, la non autostima e la non autoaccettazione ci privano della forza necessaria per far fronte agli eventi avversi della vita.
Il “senso della famiglia” è stato contrabbandato con “la vita è mia e la gestisco da solo”; la scuola non da più l’emozione della conoscenza, del fascino iniziatico che apre le porte su di un mondo ricco di buone cose scritte e quindi il piacere di vivere per scoprire il senso del Divino -inteso come Armonia- che non giunge più al nostro Orecchio perché sovrastato da tanti inutili rumori. La soluzione come sostiene Galimberti è il ribaltamento non l’azzeramento, prendere consapevolezza e cercare in se stessi la rivelazione di sè a sè. E questo ci riporta ancora una volta al nostro principio massonico:”conosci te stesso”. Ora affrontiamo l’etica nei giovani e la scelta cade a differenza degli altri riferimenti cinematografici di pellicole più datate - e non è un caso- al film “Tre metri sopra al cielo” dove il lucchetto (catenaccio) assume un significato psicologico particolare.
L’opera del 2004 del regista Luca Lucini è tratta dal romanzo di Federico Moccia; è una storia d’amore fra giovanissimi, troppo diversi fra loro come status sociale, ma che ha fatto sognare i giovani. In generale la storia non ha nulla di nuovo, tenuto conto che il canovaccio può rifarsi a quello eterno di Romeo e Giulietta di W.S.
Il film, opera prima - anche questo è da tener presente- racconta le emozioni, la difficile conquista, la diversità dei ceti sociali, tutte situazioni abbastanza scontate, che comunque hanno incontrato il favore degli spettatori specie fra i giovanissimi. Il giurarsi “eterno amore” non passa questa volta attraverso la lame di un “pugnale”, ma attraverso il più prosaico catenaccio che chiude la catena dell’amore di cui si sono adornati i lampioni di molte città italiane (a Napoli via Caracciolo ne è piena). Perché?
In un’epoca in cui non ci sono più valori, dove la moralità e quindi l’etica sono irriconoscibili, dove i giovani sono senza referenti certi, ritrovano nonostante tutto il desiderio di restare uniti per sempre (almeno in teoria), come se questa unione potesse difenderli da tutti i mali come in un castello delle favole, portando i protagonisti del film e i giovani “tre metri sopra il cielo”. Scopriamo che il libro prima ancora di uscire nelle librerie, già circolava in fotocopia fra i giovani, quindi approvato da loro senza nessun intervento mediatico-culturale. Scopriamo anche che allora l’etica nei giovani esiste, anche se si è trasformata -nemmeno tanto da quelli di una volta- si è solo adeguata: nel film vi è questo passaggio “ti regalo la mia verginità recita Baby la protagonista femminile e Step il protagonista maschile l’accetta come vero pegno d’amore che li unirà per sempre. Questo è la trama del film, ma nella realtà funziona allo stesso modo? Le cronache sono piene di assassini perpetrati da uomini e donne abbandonati dai rispettivi partner e questo perché i giovani si sono modellati un’etica che funziona solo fra due persone, non allargata a nessun altro, risultandone un’etica fragile come i giovani che una volta perso il riferimento della persona presunta amata vengono travolti perdendosi successivamente nei canali della droga, dell’alcool e della violenza. Questo tipo di non-etica si innesta in una non-etica allargata alla intera nazione.
-L‘etica delle Nazioni- per sviluppare l’etica delle nazioni, il filo conduttore è il film del ‘59 “La gatta sul tetto che scotta” tratto dal romanzo di Tennessee Williams, regista Richard Brooks, interpreti principali Elizabeth Taylor e Paul Newman, altri interpreti Jack Carson e Burl Ives (genere drammatico). La storia si sviluppa intorno ad un autoritario proprietario terriero del Mississipi, malato di cancro che festeggia il 65° compleanno. E’ uno spaccato della cultura della ricca e sudista proprietà terriera americana, che ben si potrebbe adattare a qualsiasi nazione. In particolare esprime il concetto di nazione, in questo caso americana,con tutte le sue implicazioni (anche lo yes-man moderno) che tale è rimasto -almeno- fino a questa epocale elezione di un afro-americano (Obama) a Presidente degli U.S.A. e anche se meno epocale ma altrettanto interessante in Europa, esattamente in Francia con l’elezione di Sarkozy che francese non è, in quanto di padre aristocratico ungherese, madre figlia di un medico ebreo sefardita di Salonicco, convertitosi al cristianesimo, moglie italiana. Pertanto possiamo affermare che “il pesce fete più o meno dalla testa” a seconda chi incarna la figura di Capo di Stato, intesa come l’espressione del comportamento -a specchio- dei suoi concittadini o nel caso di case regnanti, suoi sudditi.
Vero è che nelle nazioni, la compagine di più individui rappresentano per le loro radici storiche più anime che dovrebbero confluire in un univoco significato di appartenenza, anche se così non lo è ancora. La difesa delle proprie pseudo-radici, provoca rigurgiti di individualismo di natura ancestrale-terroristica, a scapito della più ampia appartenenza, quella universale, intesa come unicum-iniziatico. Ci aiuta in questa esemplificazione il film citato , dove nella storia di questo autoritario proprietario terriero, è forte il senso di ciò che assumiamo;il cancro di cui è malato -malattia in un primo momento nascostagli e poi svelatagli senza compromessi dal figlio minore P.N.- fanno emergere tutte le frustrazioni di una famiglia che è lo specchio di una nazione, da cui si ricava come un distillato quello di etica-nazione-famiglia. I personaggi moglie, figli, nuore, nipoti, servitori negri (gli esclusi, ma i più misericordiosi) accendono i riflettori su tutte le loro miserie umane:debolezze, arrivismo, individualismo, frustrazioni, senso della rapacità. Alla fine dopo la brutale verità, gettatagli in faccia dal figlio minore, in un delirante ma psicoanalitico confronto (scava profonde prigioni) si portano alla luce i sensi dell’etica, nascosta (metaforicamente) in una vecchia valigia di fibra che il padre-padrone conserva come unico ricordo di suo padre, un povero vagabondo alcolizzato. Ma sentiamo alcuni passaggi del dialogo: Padre- mio padre morì lasciandomi solo una valigia vuota…. mentre a voi ho dato tutto… ricchezza, benessere, potere. Figlio- non volevo tutto questo (in tono irato)…. volevo solo affetto..amore; Dimmi (rivolto al padre) volevi bene a tuo padre? Padre-… sì volevo bene a quel vecchio vagabondo ubriacone che mi portava sempre con sé. Figlio-.. e tu dici che ti ha lasciato solo una valigia vuota?… quella valigia era piena di una ricchezza immensa “l’Amore”. Ecco, noi siamo ancora in attesa di aprire quella valigia; come nazioni prendere coscienza e ricordo dell’Amore;far rinascere un nuovo uomo, un padre-padre e non un padre-padrone e quindi giungere al concetto di “Nuova Nazione”, dove il cammino è a ritroso, dall’etica ritrovata individuale a quella collettiva che si identifichi nell’espressione di Nazione e del suo primo rappresentante.
-L’Etica nella Industria- Anche in questa esemplificazione, il riferimento -non sarà casuale - è un film del 1954 di Billy Wilder (un remake nel ‘95 è di Sidney Pollack), - Sabrina -; interpreti Audrey Hepbur, Humpherey Bogart, William Holden. Considerato di genere sentimentale, nel 2002 è stato scelto per la preservazione dal National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Ma prima di capire perché la scelta è caduta su questo film, è necessario distinguere tre figure diverse che operano nella gestione della produttività nell’industria:
- industriali - categoria di coloro che a capo di una impresa privilegiano un utile personale, affaristico - individuale.
- imprenditori - coloro che pur privilegiando l’utile personale hanno coscienza del ruolo ,nella produttività,dei propri collaboratori.
- capitani d’industria -figura quasi del tutto scomparsa, formata da personaggi nei quali il concetto di capitalismo produttivo si trasmette come patrimonio di famiglia (le grandi famiglie di industriali dell’ ‘800), quasi di valore dinastico - monarchico, dove la scelta del futuro capitano d’industria travalica l’ambito familiare, in onore di un’etica capitalistica - industriale, dove esisteva il rispetto reciproco padrone-operaio, basato su valori reali comuni, anche se con suddivisione dei profitti non corrispondenti al personale processo lavorativo. Pertanto, nel film – Sabrina - seppure definito di genere sentimentale, emerge, estrapolata dal suo genere, un’etica nella produzione dell’industria. Non a caso ritengo, che questa pellicola è stata scelta e conservata nella Biblioteca del Congresso. Nello specifico, uno dei figli (H.B.) del ptriarca delle industrie Larreby, ben impersonifica “il capitano d’industria”; americano del dopoguerra (II° g. mondiale), facente parte di una solida famiglia che costituisce la “nobiltà” degli immigrati, che ha accumulato una forte ricchezza, anche sull’attività dei propri antenati, non sempre legale (furono corsari); comunque i moderni successori portano avanti il concetto di sviluppo industriale, con un occhio attento ai diritti dei suoi dipendenti o se si vuole con un concetto paternalistico, del capo d’impresa memore dei suoi trascorsi. Una trama cinematografica che rivela una verità reale, basti pensare alle grandi dinastie, come quella dei Ford, che innestavano su di un concetto prevalentemente utilitaristico - reddituale, un concetto sociale sia nella produzione (la prima catena di montaggio) come aiuto meccanico per alleviare la fatica dell’operaio e sia la distribuzione del prodotto a prezzi popolari (H.F. è stato Fr:. Massone). Nel nostro paese il capitano d’industria si è impersonificato nella famiglia Agnelli (G. Agnelli) che non affidò al proprio figlio, non ritenuto all’altezza, la gestione manageriale della FIAT, affidandola all’Ing. Vittorio Valletta (altro Fr:. Massone), che progettò l’auto per il popolo, la mitica Topolino (che tanto ci ricorda Walt Disney, anch’esso Fr:. Massone). I passaggi nel film ad un occhio attento si captano abbastanza facilmente;dove il primogenito H.B. tutto villa e industria dedito solo al suo sviluppo “amore” condiviso con i suoi dipendenti, si distingue dal fratello minore (W.H.) dedito solo alle feste ed alle donne;alla fine è proprio l’ algido capitano d’industria (H.B.)che viene travolto dall’Amore per la figlia dell’autista di famiglia - America democratica e sempre stupefacente. Questa etica nella industria, oggi è inesistente risultando un’etica solamente utilitaristica di mero profitto che si cerca di incrementare con:delocalizzazione delle sedi di produzione nei paesi a manodopera a basso costo;sfruttamento del lavoro minorile e delle donne senza parità retributiva a parità di lavoro o stessa tutela lavorativa dei maschi; protezionismo governativo della produzione oltre limiti accettabili. Eppure sarebbe semplice coniugare -senza essere grandi economisti- (Keynes od altri)che la forza di produzione di una impresa è costituita dalla massa dei consumatori che debbono essere preservati,che deve andare di pari passo con una tassazione non vessatoria, deduttiva e non induttiva. Poter lasciare nelle tasche dei cittadini-consumatori 50 euro o 50 dollari,al netto di tutte le spese significa muovere l’economia mondiale. Oggi a tutto questo, si è sostituito il concetto della schiavitù economica attraverso le -carte di credito- (sostitutivo moderno delle vecchie cambiali) che non sono altro che -carte di debito- che ti legano a complessi finanziari al limite della attività legale, fino alla propria morte economica. I due più conosciuti sistemi economici quello capitalistico c.d. del libero mercato e della libera iniziativa con tutela della proprietà privata e quello nazional-comunista, con lo Stato padrone dei sistemi produttivi e della abolizione della proprietà privata, sono entrambi falliti miseramente. Vanno ricercati nuovi modelli economici in cui l’etica e la morale siano predominanti,dove il lucro delle imprese si coniughi con l’interesse pubblico, creando ricchezza a beneficio di entrambi, l’uno come produttore e l’altro come consumatore; riscoprire le -Pubblic Company- almeno per quanto riguarda settori di produzione di beni di prima necessità o di consumo sociale.
- L’Etica nelle religioni e nella Massoneria- “L’etica è quella parte della filosofia che si occupa delle azioni e del comportamento dell’individuo in rapporto con la società e con se stesso”moderno dizionario massonico di Riccardo Chissotti. Così intesa è collegata strettamente al concetto di comportamento che in massoneria significa rispetto delle regole profane ed esecuzione dei rituali in massoneria, non disgiunto dalla coerenza come armonia nella ricerca. La coerenza, quindi, assume un ruolo essenziale nel comportamento del buon massone sia dentro che fuori del Tempio,unica strada che l’Istituzione massonica può percorrere per il Bene e il Progresso dell’Umanità. Non esiste altra esemplificazione dell’etica nelle varie religioni (monoteiste, politeiste,deiste) se non una stessa “Illuminazione” da un unico Dio appellato con diversi nomi (Dio,God,Godan,Wodan,Woden,Odino,Zeus,Theos,Deus).
Pertanto l’etica nelle religioni e in massoneria, và intesa come un valore da proporre e da usare nella vita quotidiana ed anche come forma di dialogo fra le differenti confessioni religiose. Se il -Dialogo- come forma di “catena d’unione”, vista come acceleratore di particelle interiori, raffigurate da due parole uomo (come individuo) e mente (come intelligenza), si facessero scontrare in un ipotetico big - beng, si ricreerebbe la “particella divina” unica e sola, quella dell’Amore. Quindi, non gli orpelli chiesastici generatrici di guerre sante fratricide, non la creazione di una religione - laica nel senso di credenza, comportamenti, rituali e culture, legati al concetto di soprannaturale, già esistente nelle coscienze dell’Uomo fin dalla sua comparsa su questo pianeta.
Se ciò non è avvenuto è colpa in egual misura di entrambe le Istituzioni.
Lucio Bruno

21 novembre 2009

- Labirinto


Fulcanelli riserva al labirinto una descrizione importante. Tra i motivi usati più di frequente nelle cattedrali, è bene parlare dei labirinti, tracciati sul suolo nel punto di intersezione della navata col transetto. Nel labirinto di Amiens, si notava, al centro, una grande lastra, nella quale era incastonata una sbarra d'oro e un semicerchio dello stesso metallo, che raffigurava l'alzarsi del sole sulla linea dell'orizzonte. Più tardi il sole d'oro fu sostituito da un sole di rame, poi sparì anche quest'ultimo e non fu mai più rimesso a posto. Quanto al labirinto di Chartres, chiamato volgarmente la lega (sta per il luogo, cabala fonetica: lieu = lega, lieu (luogo) si pronunciano in francese allo stesso modo) e disegnato sul pavimento della navata, si compone di tutta una serie di cerchi concentrici che si ripiegano gli uni sugli altri con un'infinita varietà di combinazioni. Un tempo al centro di questa figura, si notava il duello tra Teseo e il Minotauro. Questa è un'altra prova dell'infiltrazione dei soggetti pagani nella iconografia cristiana e di conseguenza è anche prova d'un senso mito-ermetico evidente. Però il problema non è di stabilire un qualsiasi rapporto tra queste immagini e le famose costruzioni dell'antichità: i labirinti di Grecia e d'Egitto. Il labirinto delle cattedrali, o labirinto di Salomone, è -ci dice Marcellin Berthelot, "una figura cabalistica che si trova anche sul frontespizio di alcuni manoscritti alchimici e che fa parte delle tradizioni magiche attribuite a Salomone. E'una serie di cerchi concentrici, interrotti in certi punti, in modo da formare un percorso bizzarro ed inestricabile". L'immagine del labirinto ci si offre dunque come emblema dell'intero lavoro dell'Opera, con le sue due maggiori difficoltà: quella della strada da seguire per raggiungere il centro - nel quale si scatena il duro duello delle due nature - e l'altra quella della strada che l'artista deve seguire per uscirne. A questo punto ha bisogno del filo di Arianna se non vuole vagare tra i meandri dell'opera senza riuscire a scoprire l'uscita.
Non è nostra intenzione scrivere, come fece Bastsdorff, uno speciale trattato per insegnare cos'è il filo di Arianna, che permise a Teseo di compiere la sua impresa. Ma appoggiandoci alla cabala speriamo di fornire agli investigatori sagaci alcune precisazioni sul valore simbolico del famoso mito. Arianna è una forma di airagne (ragno). La nostra anima non è forse il ragno che tesse il nostro corpo? E' la virtù rinchiusa in quel corpo chiamato dai saggi: nostra magnesia, l'Hiram massonico, il divino Ariete, l'architetto del Tempio di Salomone. Arianna è anche assimilabile - per la cabala fonetica - all'Oriente (sole che sorge), alla 'calamita', alla stella, il sole sorgente.
Ricordiamo rapidamente che il più celebre dei labirinti antichi,quello di Cnosso a Creta, che fu scoperto nel 1902 dal dottor Evans, di Oxford, era chiamato Absolum. A questo punto, faremo notare che questa parola è assai vicina a quella di Absolu (Assoluto), nome con il quale gli antichi alchimisti indicavano la pietra filosofale".
Con l'identico processo si ricorre alla mitologia greca. Teseo che lotta nel labirinto di Cnosso è l'alchimista che combatte tra le difficoltà della Grande Opera, difficoltà dalle quali si esce solo possedendo il filo d'Arianna, ossia la necessaria conoscenza segreta che fornisce la chiave del lavoro da svolgere; Dedalo ed Icaro, che nel mito evadono dal labirinto usando ali di cera, rappresentano le materie volatili. Ma il culmine dell'attenzione mostrata dagli alchimisti per i miti greci è raggiunta nell'interpretazione delle vicende di Giasone e del Vello d'oro. Il Vello d'oro, il cui possesso dà l'abbondanza, è la Pietra Filosofale; Giasone che parte sulla nave Argo è l'alchimista che intra - prende la via umida; le fatiche dell'eroe sono altrettante allegorie delle operazioni da compiere per arrivare al perfezionamento dell'Opera.
Santarcangeli evidenzia che la caverna, e con essa il labirinto, rappresentano il grembo materno, in tal modo “la caverna appare anche come l’uscita verso la vita, come ciò che è nascosto e sconosciuto.” Il labirinto e la caverna sono “legati ambedue alla stessa idea di un viaggio sotterraneo”, a cui è sotteso poi un significato iniziatico. Il rito dell’iniziazione è, inoltre, strettamente congiunto all’alchimia che, dai surrealisti, è tenuta in gran conto. Anche il motivo dell’albero, presente in alcune opere di Magritte, come ad esempio La condizione umana (1934) o La vie heureuse (1944), rinvia ermeticamente all’albero della vita che, secondo Santarcangeli , si collocherebbe al centro del labirinto. Il disegno labirintico è ulteriormente connesso con “la raffigurazione dei nodi e degli intrecci.”, una struttura che si può riscontrare in Alfabeto delle rivelazioni (1935), dove nel primo dei due pannelli accostati compare un aggrovigliato intreccio, che si rivela essere quasi una trappola, un enigma. “Il labirinto è gioco anche e soprattutto nel senso che è un indovinello.” L’unico desiderio che la pittura di Magritte manifesta consiste, in effetti, nella capacità di far emergere il mistero, l’enigma. Brion evidenzia “il senso segreto, mistico, e la parentela emblematica dei nodi, degli intrecci e dei labirinti, la loro stretta relazione concettuale.”
Il labirinto sembra il ‘viaggio’dell’iniziazione massonica:i viaggi di Apprendista si compiono lungo il percorso apparente del Sole, fonte di vita e di luce. L’iniziando parte da occidente, entra nelle tenebre del settentrione,raggiunge l’oriente e poi fa ritorno a mezzogiorno. Il simbolismo più autentico dei viaggi iniziatici, osserva Guenon è da ricercarsi nel cambiamento profondo che l’esperienza del viaggio stesso determina nel soggetto che lo compie; non è mai fuga, ma ansia di evoluzione, di elevazione spirituale, di affinamento etico e consente di procedere dal mondo delle tenebre - quello profano - a quello di luce. Ecco perché ogni viaggio iniziatico deve avvenire in primo luogo all’interno di noi stessi alla ricerca di quella conoscenza lapidariamente sintetizzata nell’antico motto "Conosci te stesso" inciso sul frontone del Tempio di Delfi. Questa forma di conoscenza, che tende all’identificazione dell’individuo con le strutture del macrocosmo, in qualsiasi modo la si definisca - ermetismo, filosofia occulta, dottrina esoterica, scienza iniziatica - ha sempre avuto l’unico fondamentale obiettivo di condurre l’uomo verso la sua realizzazione spirituale".Il mito e il suo mistero iniziatico Pasifae, signora di Creta, è colta da una passione incontrollabile nei confronti del toro sacro. Per potersi unire con lui si fa costruire dall’architetto Dedalo un simulacro igneo di una vacca. La regina si introduce all’interno e riesce ad accoppiarsi con l’animale. Dall’unione nasce il terribile Minotauro, metà uomo e metà toro. Il “mostro” si nutre di vergini e per bloccare in qualche modo la sua fame insaziabile viene introdotto con uno stratagemma all’interno del labirinto. Lì lo ucciderà Teseo, l’eroe straniero, che è riuscito a giungere negli inestricabili cunicoli grazie ad Arianna, sorella dello stesso Minotauro. L’uccisore e la principessa, dopo aver eliminato la “bestia” fuggono su una nave. Ma dall'alto dei cieli sono scorti da Artemide, anche lei sorella del Minotauro, che per vendicare il fratello scocca una freccia infallibile e uccide Arianna. Teseo torna solo in patria e appena giunto a terra compie una danza di ringraziamento. Fin qui il mito sembra perfettamente comprensibile. Ma ecco che gli studi filologici di Colli aprono insospettabili complessità. Infatti il nome Minotauro può essere tradotto anche in "Stellante" ed Arianna in "Colei che fa assumere in cielo " .La freccia che la uccide significa "pensiero folgorante". Inoltre la danza che compie Teseo è "quella della gru", ovvero "danza del labirinto", o anche "ballo dell'estasi". In questa nuova chiave il mito significa che grazie ad Arianna il Minotauro è assunto in cielo e la ricompensa per la donna è il pensiero intuitivo. Teseo celebra l'avvenimento con un rito estatico che permette all'uomo - eroe di concepire in se alcuni aspetti del divino. Ma non è finita. Perché come abbiamo già detto Dioniso è rappresentato anche come fanciullo leggiadro ed innocuo. Ed invece anche in questo caso si cela l'ambiguità. Perché secondo Euripide quel bimbetto attira gli uomini all'interno del cerchio delle baccanti e gli cinge il collo con un filo d' oro. Presi dal ballo rituale gli incauti non si avvedono che finiscono con lo strozzarsi con il loro stesso movimento. Sotto sembiante innocente il dio rivela atrocità impensabili. Come il rovescio della medaglia delle storie del Minotauro. C'è anche dell'altro. Dioniso è descritto dai sapienti come “colui che si guarda allo specchio”, ma l'immagine riflessa non è quella del dio, bensì del mondo degli uomini. Questo vuol dire che il creato è «apparenza, ombra, dell'eterno'. Per concludere, ecco l'ultimo momento del puzzle sapienziale. Il labirinto può essere tradotto anche come "enigma", "nodo da sciogliere", "problema". Quindi l'uomo che riesce a risolvere l'enigma scopre che il mondo è apparenza e che l'unica realtà è la sostanzialità di dio. Ma per arrivare a questo deve abbandonarsi all'estasi che può essere raggiunta mediante la danza bacchica. Gli antichi padri della conoscenza hanno dunque gettato attraverso i millenni i loro enigmi affinché generazioni successive di uomini si cimentassero con la propria intelligenza e tentassero di capire i "reconditi segni". Qui abbiamo riportato spiegazioni che sono costate vite intere di ricerche e forse è proprio questa la spiegazione. Forse. Perché Platone ha anche tramandato nella VII lettera che «nessun sapiente affiderebbe alla scrittura nulla di veramente importante». Ultimo inquietante interrogativo che deve servirci ad ulteriori riflessioni. Anche perché Platone per esprimere questo concetto contro la scrittura adopera proprio la scrittura!

18 novembre 2009

- Rito e ritualità.


Una concezione purtroppo corrente nella società contemporanea, diffusa non solo nel mondo profano, tende a considerare tutto ciò che appaia come «rito» o «rituale» alla stregua di un armamentario ideale superato, una ferraglia da rottamarsi il più velocemente possibile.
Il ragionamento sotteso a tale sotto-cultura ha una visione del rito esclusivamente «esteriore », ossia ne enfatizza la ripetitività, l'immobilismo, l'arcaicità, tutte categorie intese come contrapposte alla ragione, al dinamismo, alla modernità. Non si mancherà di notare peraltro che una sorta di svalutazione dell'apparato rituale è presente anche in alcune manifestazioni dominanti del Cristianesimo, ove la dimensione simbolica della sacramentalità dell'officio liturgico è stata fortemente ridimensionata, non sempre con piena coscienza o altrimenti suscitando estremizzazioni tanto eclatanti quanto circoscritte. Di pari passo, con tale atteggiamento anti-rituale, si registra, segnatamente in ambiente laico, uno sconfortante senso di estraneità di fronte a tutte le occasioni che con la ritualità sono connesse; il rito, anche e soprattutto nelle sue forme civili, istituzionali, militari, accademiche e sportive, viene lasciato «degenerare» proprio come si trattasse di una noiosa formalità. Si tratta insomma di un impiccio di cui bisogna sbarazzarsi nel modo più solerte, con conseguenze che oscillano tra il ridicolo e la stupidità. Anzi, possiamo dire che nella nostra società ogni seria manifestazione rituale appare sempre più di difficile comprensione, soprattutto se non inquadrata in un ambito espressamente confessionale e pertanto ben circoscritto, e anche in questo caso con qualche problema.
Purtroppo questi condizionamenti non possono essere presi alla leggera all'interno di una comunione come quella massonica, ove la ritualità costituisce un momento senza dubbi centrale, sia sul piano esoterico e formativo, oltremodo significativo del percorso massonico. Questo breve articolo vuole quindi offrire soltanto uno stimolo, al fine di focalizzare e chiarificare un problema sotto molti aspetti nodale.
Etimologia e semantica
In primo luogo mi sembra utile tentare una ridefinizione di «rito» in quanto tale (e pertanto a prescindere dai singoli «riti» che sono accolti nell'ambito del G.O.I.), partendo da una riflessione in chiave etimologica. Il termine latino ritus, da cui l'italiano rito, ha una storia molto complessa; esso, infatti, deriva in ultima istanza da un'antichissima radice indoeuropea ar, che, mediante una serie di diverse suffissazioni, sta alla base di una famiglia semantica estremamente ricca, costituita per esempio in latino da ars, ar-ti-s «arte, abilità », ar-tus «articolazione», in greco da arthmos «legame, unione», ar-thron «giuntura, articolazione, membro», arithmos «numero», ma anche dai verbi ar-ar-isko «adatto, armonizzo» e artuno «adatto». Tale radice indoeuropea ha trovato poi nelle lingue indoiraniche, come il sanscrito - la lingua dei Veda - , e nell'avestico, quella dei testi più antichi attribuiti a Zarathustra a alla sua cerchia, ma anche nell'antico persiano, lingua dei sovrani achemenidi Ciro, Cambise, Dario, Serse, ecc., una serie di sviluppi di estremo interesse: infatti, sia nei Veda sai nell'Avesta, il concetto di «ordine», di «armonia cosmica» è stato rispettivamente rappresentato mediante un tema nominale, che in sanscrito appare come ri-ta-e in avestico come asha- (da ar-ta-), a cui si aggiungerà anche l'antico persiano arta-, che nelle iscrizioni dei sovrani achemenidi ha assunto anche un significato più connotato sul piano politico. A questa categoria fu opposta dualisticamente quella della «menzogna » o del «disordine cosmico», espressa dal sanscrito druh-, dall'avestico druj- e dall'antico persiano drauga-. Inoltre, con una suffissazione diversa, il sanscrito ri-tu- e l'avestico ra-tu- vennero a designare «l'ordine stagionale », un «tempo fissato», e quindi più in generale la «regola», la «norma» (si confronti a questo punto anche il gr. ar-tus «sistema, ordinamento»). Non stupirà quindi più di tanto notare che il latino ritus, dal quale siamo partiti, abbia avuto alle sue spalle una pregnanza e un significato ben articolato, che, al di là delle ben note accezioni di «cerimonia, consuetudine, modo, costume tradizionale», si estrinseca come una «ordinanza», nel senso di un'armonizzazione ordinata, di una sorta di legame tra tutte le sue parti costitutive.
Il senso iniziatico
Se il lettore avrà benevolmente perdonato questa prima parte, forse un po' dotta e pedante, avrà altresì notato quanto vi sia di profondo alle spalle di un termine quale rito, nonché del concetto stesso di ritualità, che da esso inevitabilmente scaturisce. Se ci si limitasse però a quest'aspetto, avremmo solo posto un problema di ordine culturale, mentre lo scopo del presente contributo è differente e meno profano. Una società iniziatica non può prescindere dal rito (inteso come già detto in termini di «ritualità applicata» e non contrapposto all'Ordine dei primi tre gradi della Massoneria azzurra), in quanto strumento di ordinamento e di armonizzazione dell'Officina e dei singoli Muratori. Il rituale è quindi un atto comune e individuale ad un tempo; mette in gioco il singolo Fratello e la comunità massonica a cui appartiene, la quale, a sua volta, è chiamata nella sua totalità, attraverso l'applicazione di una Tradizione simbolica, a stimolare in ciascun Iniziato un percorso interiore. La Massoneria non offre al recipiendario e poi all'Iniziato un «credo», ma un'occasione profonda per misurarsi con se stesso, mediante il confronto con altri uomini che accettano una comunanza di regole e landmarks fondamentali; tale comunione, per quanto si esprima con l'ausilio di un linguaggio simbolico senza dubbio antidogmatico, non è però certamente improvvisata e casuale. Aprire le porte ad una sorta di riduzionismo formalistico del rito e della ritualità, come se si trattasse di anticaglie, secondo una certa vulgata profana, significherebbe devastare alla radice l'esperienza massonica e la sua centralità iniziatica per farne invece un club più o meno ristretto, ma senza un centro, senza un ordine profondo.
Uguaglianza
Bisogna considerare che il rituale, con le regole e i limiti che esso impone, è anche strumento di eguaglianza ferrea; esso infatti impedisce che i ruoli sociali profani si affermino all'interno del Tempio, giacché l'apprendista – qualsiasi sia la sua cultura e importanza – tace e ascolta (senza che però gli sia vietato arrovellarsi nel suo scranno a settentrione), così come ai compagni e maestri è comunque vietato intrattenersi in questioni di politica e di religione, che porterebbero «fuori squadra» i lavori massonici, né è loro concesso scadere in dibattiti o ancora assumere atteggiamenti scomposti e intolleranti. Tutti, in ogni caso, sono soggetti all'autorità/autorevolezza del Maestro Venerabile, che ha il potere/ dovere di armonizzare architettonicamente i lavori e garantire il rito nel senso profondo di atto conformante la parte al tutto. Il senso profondo della ritualità, delle garanzie che offre, nei limiti che al contempo pone, sono tutti aspetti ignoti alla vita profana e alle esperienze che essa può proporre. Non si può quindi ignorare che questo aspetto dell'esperienza massonica costituisce per molti versi un unicum nella vita attuale e come tale esso deve, nelle forme concesse, essere fatto conoscere al di fuori della comunione massonica. Di questa ricchezza enorme, peraltro, i Fratelli devono essere consci, in quanto si tratta di una forza eccezionale, protesa sia verso l'interno sia verso l'esterno.
Edificare il Tempio interiore
Ci soffermeremo ora sul fatto che il rituale di costruzione del Tempio, che è anche metafora dell'ordinamento di un «Tempio interiore», a guisa di pietra che si squadra sempre più perfettamente, fuoriesce dal tempo normale, dal «quotidiano ». Tra l'apertura e la chiusura dei lavori, tra mezzogiorno e mezzanotte, un tempo «altro» scandisce il lavoro massonico, un tempo che è circoscritto e separato da quello dell'esperienza profana. Tale «esperienza» – giacché di esperienza si tratta, in quanto il rituale non è semplicemente spiegabile, ma deve essere attualizzato e vissuto direttamente (di qui almeno una parte del segreto massonico) – si articola e si sviluppa in un «metatempo», in una sorta di dimensione «diversa », alla quale si accede per gradi sotto la volta stellata del Tempio, in un luogo che simbolicamente trascende la sua apparente e contingente esteriorità, ma si pone come centro o asse del mondo. L'accensione del testimone e la squadratura del Tempio, come una sorta di lustratio o di pradakhinâ, circoscrivono uno spazio che verrà in breve tempo catapultato in una dimensione temporale nuova, in una comunione che, nella separazione netta dalla vita e dal tempo profano, si pone come una sfida interiore ad un'ascesa a cui tutti i Muratori devono contribuire. Onestamente non sempre ciò riesce, ma quando tutto è stato veramente «giusto e perfetto», l’autocoscienza di aver partecipato ad un'esperienza, ove il rito non è stato vacua ripetizione di gesti e di formule prescritte, ma armonizzazione di una molteplicità di coscienze, segna fortemente l'Iniziato e gli elargisce una nuova profondità capace di aprire, anche in chi pensava di già aver scoperto tutto, nuove possibilità di ricerca interiore.
In una società dell'immagine, capace di soppesare con interesse solo ciò che «rende», il rito, inteso come strumento vitale di un percorso umano, etico e intellettuale, è indubbiamente una sfida e una provocazione. Per tutti coloro che a priori odiano la Massoneria, ciò appare come una sorta di mostruosità difficile da deglutire, giacché una tale dimensione spirituale non è neanche lontanamente supposta presso una setta di adoratori di «Bafometto» o una consorteria di «intriganti affaristi». D'altro canto, proprio perché non siamo né una cosa né l'altra, non possiamo che lavorare ritualmente la pietra grezza e ricordare, dentro e fuori, che questo è il cammino proposto attraverso l'Iniziazione massonica.
ANTONIO PANAINO

15 novembre 2009

- Il Tempo


Ci sono nozioni filosofiche con le quali tutti noi dobbiamo fare dolorosamente i conti. Sono idee, a tutta prima astratte, che si rivelano nella storia con drammatica concretezza: fra queste, al primo posto, è il Tempo. Di esso si è scritto a proposito e a sproposito; fisici, poeti, letterati e pensatori ne hanno esaminato le varie facce.
La problematicità della nozione Tempo esercita un fascino irresistibile su chiunque anche non interessato, normalmente, a questioni teoretiche; il fatto che il tempo richiama, per immediata associazione, il concetto di durata e, con essa, quello della ineluttabilità della morte. Nascita, crescita, declino si legano intimamente all’antichissima concezione del ciclo, su cui si basarono le religioni mediterranee pre-indoeuropee. Tenteremo anche noi, qui, un’analisi per approcci del problema-tempo, visto nel suo aspetto storico e semantico, con l’obiettivo di riaffermare quel filo di continuità culturale che, sin da epoca arcaica, sembra apparentare le prime speculazioni mitologiche alle più recenti acquisizioni della fisica contemporanea.
Il tempo nella storia etimologica.
Per la nostra indagine sommaria (sull’argomento potrebbero versarsi fiumi d’inchiostro) partiremo dalla Grecia. Gli Elleni, indoeuropei e, perciò, affini agli ariovedici dell’India sanscrita, chiamarono il tempo chronos, da una radice gher; in tutta l’area linguistica aria designa il concetto di recingere, chiudere, delimitare e simili. Essi, dunque, videro la durata come limite, già intimamente associata all’idea dello spazio, uno spazio non vuoto (come comunemente si ritiene) ma come recipiente di potenzialità: il chaos teogonico – si pensi a Esiodo, a Ferecìde – che si riallaccia agli omologhi termini chaschànò, chàschò, connessi al significato di serbatoio. Il chaos non era il nulla (concetto, in realtà, estraneo alla mentalità degli antichi) ma l’antefatto della vita, della molteplicità dei fenomeni, e - per questo – quasi sempre indicato come progenitore della realtà. Caos come spazio, allora, e lo spazio – come si sa – si è rivelato in tempi assai recenti come tutt’altro che vuoto (il vuoto non esiste), portatore di materia interstellare, addirittura di vita; l’analisi spettroscopica degli astrofisici ha individuato tutti gli elementi organici necessari alla costituzione del fenomeno-vita proprio negli spazi interstellari. E siamo al modernissimo concetto di unità spazio-tempo, il cronotopo come è stato chiamato con termini greci, che la fisica relativistica, da Einstein in poi, ha posto come esigenza della sua visione cosmologica di base. Chronos, dicevamo, fu inteso e – l’etimologia ce ne da conferma – come delimitazione della realtà, una realtà che, dunque, supera il tempo per ampiezza e durata. Alle stesse conclusioni giunse, già di buonora, la sapienza arcaica dei Latini: all’ellenico chronos i Romani contrapposero tempus, la parola che ha dato origine all’italiano tempo. Ma questo termine degli indoeuropei italici fu mutuato dal vocabolario greco anch’esso: tempus ha la sua radice etimologica in tem, che troviamo in temno, tagliare, cingere, conchiudere. Si riafferma, anche in questo caso, la nozione di limite, di porzione limitata della realtà. E la Grecia e Roma sono solo due esempi, fra i più significativi, di questo modo di concepire il tempo nato con tutta probabilità nell’età tardo neolitica. Fu allora, infatti, che le prime società di agricoltori imparando a coltivare regolarmente la terra si avvidero anche delle ferree leggi del ciclo naturale delle stagioni, a cui le colture erano di necessità soggette. Fu anche l’epoca in cui ci si rese conto della dualità della natura: giorno-notte, caldo-freddo, luce-buio, nascita e morte del mondo vegetale, fenomeno – quest’ultimo – a cui fu spontaneo associare anche l’uomo. Nacque così, in embrione, l’idea dell’identità fra microcosmo (l’uomo) e il macrocosmo (l’universo), che nel mondo antico giunse a completa maturazione speculativa con la riflessione degli Stoici che intesero l’universo come un tutto vivente (universo: ciò che si volge a unità...). La nozione di ciclo, apparsa con la cultura neolitica della religiosità agraria mediterranea, è responsabile – come abbiamo visto – dell’ètimo di chronos e del tempo, del loro essenziale significato di limitazione. E quest’idea antichissima si è in fondo mantenuta fino ai nostri giorni nella coscienza comune, chiaro retaggio delle nostre inalienabili radici motivazionali.
Nemico e limite dell’uomo.
Ma il tempo, nemico dell’uomo in quanto lo limita, lo frena nel suo irresistibile impulso di autotrascendimento, si prestò anche ad altre interpretazioni, anch’esse sopravvissute fino ai nostri giorni: in tutte le culture ritroviamo accanto al tempo-limite anche il tempo-senza tempo, l’eternità come proiezione e realistico traguardo della durata-provvisoria. La geometria ci ha insegnato che il segmento è una porzione finita della retta infinita; in filosofia riscontriamo l’analogo rapporto tempo-eternità ed eternità etimologicamente si ricollega al tempo, all’evo, al grande ciclo affermato dalla filosofia induista (il para-brahman, il kali-yuga). Perché, sin dal sorgere della speculazione mitica, prima, e ragionale, poi, gli uomini sono stati portati istintivamente a vedere nel tempo il suo superamento? Probabilmente perché vi è innata nell’uomo un’esigenza di totalità, che gli fa cogliere intuitivamente l’infinito, pur essendo questo posto al di là della possibilità del nostro pensiero e, quindi, rappresentabile solo attraverso il simbolo. Il simbolo ci dà la chiave di volta, di decifrazione della realtà metastorica, dell’al-di-là delle cose. L’origine della parola ci rinvia ai concetti di allusione, di contrassegno e di riferimento sottinteso; e non è un caso che nel mondo della sapienza greca, magistralmente scandagliato da Giorgio Colli, riscontriamo agli albori della speculazione l’enigma, il nascosto. «La natura ama nascondersi », affermava Eraclito. «Agli dèi non piace ciò che è manifesto, essi amano l’enigma», affermano ancora le Upanishad indiane. La soluzione del limite nell’illimitato trovò il suo primo ambito di pertinenza nelle società misteriche. E non c’è dunque da stupirsi se già con l’orfìsmo chronos il limite fu identificato (associazione magica fondata sull’omofonìa) con Kronos, l’antico dio dei monti della religiosità pregreca. Qui Ker, la radice di Kronos, allude al fare, all’eseguire e fu facile per le speculazioni mistiche dell’antica Grecia sovrapporre alla figura mitologica di Kronos un’attività demiurgica di creatore della realtà, che si attribuì, quindi, al tempo, alla dimensione dionisiaca che troverà ancora un’eco nell’interpretazione di Nietzsche. L’innocenza creativa si svolge nella dimensione del limite per superarsi e trascendere nel senza-limiti, nell’Eternità agognata da tutti gli iniziati d’ogni tempo, dagli Orfici ai teosofi del mondo contemporaneo.
Tempo come Tempio.
E veniamo alla seconda coincidenza semantica. Il verbo greco témno, che – abbiamo visto – significa tagliare e che, in questa sua accezione particolare, ha provocato la formazione del vocabolo latino tem-pus, tempo, nasconde altre possibilità di analisi che rinviano alla contrapposizione del tempo profano a quello sacro, del tempo secolare a quello mitico dell’eterno. Témno ha prodotto la parola témenos, recinto chiuso e consacrato, propriamente: cioè, il tempio greco, il luogo di dio. E lo stesso termine, ripreso dal vocabolario ellenico, ritroviamo nel latino templum, nell’italiano tempio, sempre col medesimo significato di fondo a cui rimanda l’etimologia. V’è, sottinteso, un fecondo rapporto dialettico di identificazione magica fra tempo e Tempio, di cui s’è perduta cognizione ma non sentimento. L’uomo in questa polarità di significati, entrambi validi e veri ad un diverso livello dell’esistere, compie una scelta di campo irreversibile per il suo stesso destino: vivere nel limite o, piuttosto, nella dimensione di eternità. La svolta drammatica in più tempi riproposta dall’antico invito delfico «Conosci te stesso», svela il senso profondo dei misteri e del messaggio mitico, di cui la filosofia non serberà che un parziale ricordo, un’oscura nostalgia come aspirazione alla sapienza. E chi è sapiente? Chiunque può esserlo, e in potenza lo è. E ancora Colli (La nascita della filosofia) a ricordare che sapiente è chi getta luce nell’oscurità, chi scioglie i nodi, chi manifesta l’ignoto, chi precisa l’incerto. Per essere sapienti bisogna tornare al mito. Di miti c’è ancora – e, soprattutto oggi – grande bisogno. Ma la dimensione mitica mal si attaglia all’esasperato razionalismo, alle rigidità filologiche. La filosofia corrente non ci viene in soccorso perché essa ha perduto il filo d’Arianna: il simbolo. Persino un grande filologo, come il tedesco Ulrich Wilamovitz von Moellendorf, notissimo per il suo estremo scrupolo testuale, ebbe un cedimento mitico. E scrisse, narrando d’un suo viaggio in Arcadia, d’essersi imbattuto in un Sileno... E il suo racconto non fu privo d’una certa commozione. Il simbolo è un’esigenza profonda dello spirito, la via per superare il tempo e accedere al Tempio.
Bent Parodi

12 novembre 2009

- L’Esoterismo



Così, anche in Italia l’esoterismo non è più qualcosa di “oscuro” e appannaggio di pochissimi studiosi, come Michael Fuss , Jean-Pierre Brach Antoine Faivre , Francesco Zambon ed altri illustri ricercatori che alla Fondazione G. Cini (Venezia, 29 – 30 ottobre 2007), hanno animato il Convegno internazionale su: FORME E CORRENTI DELL’ESOTERISMO OCCIDENTALE. Sicché termini abbastanza astrusi come alchimia, antroposofia, archeosofia, astrologia, cabala, ermetismo, gnosticismo, massoneria, misticismo, occultismo, sciamanesimo, sufismo, teosofia... alcune delle principali discipline esoteriche che nel corso dei secoli si sono affiancate (e contrapposte) alla religione, nel tentativo di assicurare, attraverso gli arcani, la chiaroveggenza, simboli e formule occulte, risposte alle eterne domande di senso che attanagliano l'uomo, si sono mostrate vive e vitali. Chi negli ultimi decenni pensava che il fenomeno sarebbe gradualmente scomparso con il progresso della scienza, che con presunzione si era arrogata l'esclusiva delle risposte, si è dovuto ricredere: magari la religione zoppica, come dimostra la caduta verticale della pratica religiosa e delle ordinazioni sacerdotali, ma l'esoterismo è alla page. Per secoli ha subito un ostracismo durissimo ma ora ha guadagnato uno spazio nella ricerca ufficiale, a partire dall'istituzione, nel 1965 all'Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, della cattedra di Storia dell'esoterismo cristiano, affidata allo studioso François Secret. Al suo successore, Antoine Faivre (che ha ribattezzato il suo insegnamento Storia delle correnti esoteriche e mistiche nell'Europa moderna e contemporanea), è toccato il compito di ridefinire la nozione di esoterismo, e i suoi riferimenti concettuali e metodologici. Oltre a Faivre hanno parlato e discusso relatori prestigiosi quali Alessandro Grossato, che è riuscito a riunire i massimi esperti mondiali della materia, il cui studio è in crescente sviluppo presso diversi Atenei d'Europa, di Israele e degli Stati Uniti, quali Kocku Von Stuckrad, Francesco Zambon, Jean-Pierre Brach, Moshé Idel, Wouter J. Hanegraaff, Michele Ciliberto, Mino Gabriele, Agostino De Rosa, Jean-Pierre Laurant, Thomas Hakl, Joscelyn Godwin e Marco Pasi. Michael Fuss, docente all'Angelicum - Pontificia Università San Tommaso di Roma, dove un anno fa è stata attivata la cattedra di Religioni e spiritualità non convenzionali, ha presentato il punto di vista cattolico, mentre Moshé Idel, allievo del grande studioso di mistica ebraica Gershom Scholem, ha illustrato il forte influsso esercitato dal pensiero esoterico ebraico (la Kabbalah) in Italia e in Europa, invece Nicholas Goodrick-Clarke ha fatto conoscere alcune connessioni poco note fra le dottrine dell'esoterismo cristiano, ebraico e islamico, possibili aree di ricerca nel prossimo futuro.
Esoterismo e scienze religiose.Diciamo religioni e siamo convinti di sapere esattamente di cosa stiamo parlando? Così distinguiamo le religioni, per esempio, dalla magia o dalle sette. Ma chi ha stabilito che la magia è estranea alla religione, e chi ha deciso che un certo gruppo di credenti è una setta? L’antropologa e storica Silvia Mancini ha portato lo studio delle «forme religiose marginalizzate e trasversali» nell'ateneo di Losanna. Ma ora a livello accademico, le cattedre sull’esoterismo si sono diffuse a macchia d’olio e si può affermare che nella maggioranza delle università globali, esistono e non sono più un insegnamento “segreto”. Per la studiosa, per esempio, non vi é un criterio netto e univoco per definire la religione rispetto a ciò che non è religioso . Rientravano nella categoria di "religione" quei comportamenti e concezioni umane che si apparentano di più a ciò che la Chiesa ha definito come tale. La parola religione, che è assente nelle altre culture, è entrata nelle lingue occidentali a partire dall'avvento del cristianesimo, il quale ha recuperato il termine latino "religio" ( che fra i Romani non designava affatto ciò che per noi oggi è la religione) per definire se stesso in opposizione ad altri sistemi di credenze e di pratiche già esistenti, e con cui il cristianesimo è entrato in concorrenza. Il solo fatto di opporre la religione alla magia - una distinzione che fa anche l'uomo della strada - non corrisponde così a una differenziazione scientifica, ma ideologica, polemica, poiché riflette una collocazione teologica. Perché, ad esempio, la nostra cultura considera la divinazione una pratica magica? Semplicemente perché il cristianesimo non contempla fra le sue istituzioni la divinazione, che si trova così automaticamente rigettata nel dominio screditato del "magico". Ci troviamo insomma a studiare certe pratiche, concezioni e istituzioni umane muniti di concetti e categorie che non sono neutri, ma che si sono formati nel corso della nostra storia culturale e quindi sono saturi di implicazioni teologiche, filosofiche, politiche... Oggi si tende a studiare le religioni, dal punto di vista dell'antropologia e della storia comparata delle religioni. Innanzitutto, dall’angolazione storica, sono considerate una produzione storico- umana. L'oggetto di studio dello storico e dell'antropologo è infatti l'uomo concepito come creatore di molteplici forme culturali, fra cui figurano quelle di natura simbolica inerenti la vita magico- religiosa, forme elaborate in risposta a dei problemi e dei bisogni umani specifici. Inoltre, in questo approccio, non si tratta di studiare le religioni come degli oggetti ben evidenti, come se le religioni esistessero in sé da sempre, già belle e fatte, separate dalle istituzioni politiche, economiche, sociali, ecc. L'antropologia e la storia delle religioni non consistono infatti nello studio delle civiltà e delle religioni altre e basta. Esse studiano le relazioni tra l'Occidente e le culture differenti. Esistono forme di religiosità marginalizzate e trasversali, rispetto alle forme religiose dominanti socialmente e storicamente egemoniche: le chiese istituite dell'Occidente moderno e i discorsi che esse hanno costruito per legittimarsi e per difendere una visione del mondo ben precisa. Lavorare sulle tradizioni trasversali e marginalizzate significa lavorare su quelle forme di spiritualità, quelle pratiche e quei discorsi che le Chiese ufficiali, ma anche istituzione scientifica, hanno progressivamente marginalizzato o rifiutato o con cui hanno convissuto attraverso una serie di compromessi. Si tratta delle correnti esoteriche occidentali, che toccano gli ambienti colti europei, e delle concezioni e delle pratiche caratteristiche dei ceti folklorici europei ma anche di certe civiltà extraeuropee, quelle che in passato erano dette "primitive". La caratteristica delle correnti esoteriche occidentali è appunto di avere investito un dominio di speculazione che la teologia, a partire dalla fine del Medioevo, ha abbandonato per farne un oggetto di riflessione scientifica: la superiorità della cosmologia o della natura. La teologia ha finito per concentrare la sua riflessione sulla relazione Dio- uomo, lasciando il potere della natura alla speculazione della scienza, che nascerà ufficialmente nel XVII secolo. Le correnti esoteriche manterranno insieme questi due governi del divino e della natura per cercare di ricomporre in una concezione unica e coerente la questione dei rapporti Dio- uomo- natura. Questo triangolo definisce l’ambito di riflessione, di speculazione e di produzione dei discorsi esoterici occidentali (ermetismo neoalessandrino del Rinascimento, l'astrologia, l'alchimia e la magia - innestate su una concezione che resta cristiana : Pico della Mirandola, Ficino, Pomponazzi, Bruno). Ci sono poi le correnti esoteriche germaniche, in cui si include Paracelso. E ancora la corrente rosicruciana, la teosofia barocca di Jakob Boheme. E più tardi l’occultismo, lo spiritismo e, sempre nel XIX secolo, la società teosofica di Madame Blavatsky, l'antroposofia di Rudolph Steiner, poi il perennialismo di René Guénon. Un gran numero di queste correnti sono accomunate dall'elaborazione di un discorso che cerca di collegare una riflessione metafisica sullo statuto dell'uomo e delle sue relazioni con il divino senza escludere la dimensione della natura che di fatto appare spiritualizzata. Di qui gli interessi di un loro gran numero per l'astrologia, per l'idea che gli astri non sono semplicemente dei pianeti inerti studiabili da un punto di vista fisico- meccanico, ma che hanno un potere attivo sull'uomo. L'idea di natura vivente è un'idea chiave delle correnti esoteriche occidentali come l'idea che un sistema di corrispondenze universali collega il macrocosmo naturale e il microcosmo umano . Poi vi sono correnti esoteriche che influenzano intellettuali, filosofi, letterati, artisti e scienziati che partecipano alla cultura del loro tempo. Inoltre, esistono formazioni culturali popolari, proprie a certi gruppi socialmente marginali, in posizione subalterna rispetto alla cultura d'élite. Abbiamo a che fare con concezioni del mondo, pratiche e istituzioni che resistono da secoli alle influenze e alla forza di trasformazione dei discorsi sia religiosi delle chiese ufficiali, sia della scienza moderna ( i tarocchi, la lettura delle carte, dei fondi di caffé...anche certi culti folklorici di origine pre- cristiana che hanno resistito al processo di cristianizzazione forzata delle campagne, come il tarantismo nelle Puglie, l'ideologia del malocchio, le pratiche magico- mediche…). Che cosa è, allora, l’esoterismo? J.M.Riviere in Storia delle dottrine esoteriche collega l’origine del termine al verbo greco eisoteo, che significa far entrare, quindi “aprire una porta, offrire agli uomini la possibilità di penetrare nell'interiore attraverso l'esteriore; simbolicamente, è rivelare una verità nascosta, un senso occulto." L'esoterismo è "una dottrina segreta, un'iniziazione, una spiegazione del mondo rivelata in un consesso scelto, isolato dall'esterno e dalla moltitudine e spesso tramandata in forma orale"(Cfr.: Storia delle Dottrine Esoteriche", di Jean Marques-Riviere, Edizioni Mediterranee). Altre fonti individuano la radice del termine nell’aggettivo greco esoterikòs che significa “interno, segreto”. Qualunque sia l’esatta etimologia, l’esoterismo è da sempre la tendenza ad “un insegnamento estremamente riservato, a cui venivano ammessi soltanto alcuni individui che avevano ricevuto una preparazione specifica. Gli altri, la massa, erano tagliati fuori. Gli stessi concetti, venivano appositamente ammantati di doppi significati, camuffati in più modi, quando addirittura i testi non venivano nascosti completamente alla vista, nei templi o in luoghi inaccessibili." "L'esoterismo è antico come il mondo; tutte le rivelazioni magiche presso i primitivi venivano compiute nel mistero, lontano dagli altri membri della tribù, all'ombra propizia di un bosco sacro, in un luogo appartato, oppure su una sommità isolata. La conoscenza delle tecniche che donano capacità sovrumane è sempre stata circondata dai misteri. Da lungo tempo esiste la distinzione tra il volgare, la moltitudine, il popolo-ritenuto ignorante, grossolano, goffo, istintivo- e gli eletti, i saggi, gli iniziati, gli adepti. Tale distinzione esisteva tanto in campo culturale come in quello religioso, e spesso l'uno si trovava ad invadere l'altro. Le tecniche di governo erano intimamente connesse con le tecniche magiche; l'ordine sociale era il riflesso fedele dell'ordine cosmico e magico della natura; il microcosmo, con la sua stabilità, assicurava l'ordine del macrocosmo. I segreti di stato, i mezzi magico- politici di dominio, i gesti rituali che asservivano il cielo erano riservati ad una cerchia ristretta, a coloro che erano degni di ricevere, conservare e trasmettere tali rivelazioni, esoteriche nella loro essenza per il fatto che avrebbero potuto dar luogo a conseguenze incalcolabili." "L'esoterismo nasce dall'assoluta conoscenza di chi ha osato per primo affrontare il peso della sapienza trafugandola agli antichi dei. All'alba della creazione l'uomo tradusse in conoscenze ciò che aveva captato dall'esterno. Durante la ricerca della ragione della propria vita il suo discernimento si svolse verso l'imponderabile, in quanto non poteva esistere soltanto il nulla. Tutto gli apparve improvvisamente, per trasmettersi dalla mente al cuore. Ogni percorso intrapreso portava l'uomo verso ricordi antecedenti: gli archetipi, solo apparentemente immobili, si manifestarono sotto forma di simboli tribali. Gli elementi avevano un'importanza fondamentale e la loro energia veniva impiegata quale legame con il tutto rappresentatati dall'universo. L'essere umano, soggetto alla grande opera divina, fu testimone di una spiritualizzazione progressiva, non diffusa alle masse ma riservata ad una ristretta e prescelta casta iniziatica. Da ciò si deduce che l'esoterismo è scaturito dalla parte più profonda dell'essere umano, restituendogli quel mondo che non poteva ricordare. Così, subito dopo le civilizzazioni preistoriche, si fece spazio alla luce dell'interiorità. Ogni interrogativo trovò un riscontro con l'inizio dei culti sacrali e delle varie manifestazioni misteriche. I grandi sacerdoti e i sommi capi detenevano il potere della conoscenza occulta, che esercitavano con grande segretezza, non condividendone con i profani che i frammenti indispensabili alla loro evoluzione. Solo chi dimostrava di essere degno di ricevere gli insegnamenti occulti veniva ammesso nella cerchia privilegiata di coloro che un giorno avrebbero guidato le tribù". "Le forme religiose ebbero sempre un aspetto essoterico e uno esoterico, esistevano l'insegnamento ad uso popolare e quello riservato a pochi. La maestà sacra del materiale religioso, dei riti temibili ed efficaci, esigeva una gerarchia dell'esecuzione, tanto quanto una gerarchia della conoscenza". Fin da subito l'insegnamento esoterico fu protetto. "Il pericolo di tale insegnamento stava nel modo di affrontare le problematiche dell'etica, della vita e della morte sotto aspetti che differivano dalle dottrine correnti". Inoltre gli iniziati, coloro che partecipavano a questi insegnamenti alternativi avevano l'obbligo del segreto perché queste conoscenze in mani sbagliate potevano causare danni gravissimi. Basta leggere alcune parole di Ermete Trismegisto. " Richiamandoti a questi principi, ti ricorderai facilmente delle cose che più a lungo ti spiegai e che qui sono riassunte. Ma evita di intrattenervi alla folla; non perché io voglia impedire che ne venga a conoscenza, ma perché non voglio esporti alle sue derisioni. Chi si somiglia si congiunge, e tra persone dissimili non può esistere amicizia. Queste lezioni devono essere udite da pochi, o presto non ve ne saranno più del tutto. Esse posseggono qualcosa di così particolare che spinge i malvagi ancor più verso il male. Guardati dalla moltitudine, perché questa non comprende la virtù di tali discorsi". Chiari dunque i riferimenti ad un possibile uso improprio delle conoscenze occulte che perciò dovevano rimanere nascoste ai più. "Queste parole di Ermete riassumono il pensiero delle diverse scuole religiose e iniziatiche; rendono comprensibile la necessita dell'esoterismo dei loro insegnamenti, le difficoltà dell'iniziazione, la severa scelta degli adepti, le rigorose regole di vita imposte ai confratelli. Esisteva l'imperiosa necessità di celare una dottrina inaccessibile, una saggezza che non fosse deformata dalla volgarizzazione"."A cosa serviva questa conoscenza? E' assolutamente necessario abbandonare la concezione intellettuale e razionalista della verità che caratterizza la nostra epoca moderna. Per quanto è possibile giudicare dagli insegnamenti tramandati fino a oggi, una conoscenza, per gli antichi, era ipso facto una regola di vita. Essi mal distinguevano la conoscenza ideologica e scientifica del mondo dal proprio personale modo d'essere; la rivelazione attraverso l'insegnamento, l'intuizione diretta o sopranormale, le gerarchie e le tecniche spirituali richiedevano una specifica condotta di vita. Le dottrine non venivano classificate, ma sperimentate. Tutto l'esoterismo era vivente, attivo, e partecipava al sacro, al magico. Ciò spiega altresì la ragione per cui ci sono riamaste ben poche testimonianze, dal momento che il segreto giurato veniva osservato rigorosamente, e gli ultimi adepti degli antichi Misteri sono scomparsi con l'insegnamento orale ricevuto che non hanno potuto, o voluto trasmettere". E' proprio per la necessità di segretezza tipica dell'insegnamento iniziatico che al giorno d'oggi si sa pochissimo del vero esoterismo. O meglio diciamo che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale non conosce praticamente niente di quell'antico insegnamento. Sono stati scritti molti libri. "Accanto alle religioni e alle forme sociali delle diverse civiltà si può trovare l'esistenza di gruppi di illuminati, di saggi, di religiosi, di filosofi, che hanno scisso la loro vita in due parti, sacrificando a volte l'aspetto mondano per un'altra forma di esistenza. Qualunque sia l'opinione che si può nutrire nei riguardi di questi ricercatori di verità e di pace spirituale, essi meritano tutto il nostro rispetto: si deve ammirare chi sacrifica tutto per un ideale".Alcuni tra questi saggi svolgono un compito fondamentale: hanno la loro professione e tali sono per il resto del mondo ma dietro a questa copertura custodiscono i segreti dell'antica conoscenza. Certi magari sono persone molto semplici, che fanno lavori umili, altri ricoprono cariche importanti, alcune religiose, altre politiche. Possono quindi essere in posizioni diverse per via delle differenti necessità evolutive. Ma tutti, dal più piccolo al più grande, collaborano alla realizzazione del piano divino. "Nei secoli l'esoterismo si alterna o si confonde con altre forme di pensiero. Nei momenti di particolare chiusura, in cui viene messa in discussione la credibilità sia delle religioni sia delle scienze, cresce il bisogno di approfondire il lato nascosto delle cose. In realtà l'esoterismo è sempre esistito, conoscendo andamenti diversi-sviluppi o restrizioni- a seconda dei momenti storici. A fasi improntate alla tolleranza (es. il Rinascimento) succedettero epoche di repressione, oscurantismo e fanatismo religioso (la caccia alle streghe). Molti scienziati studiarono a fondo le dottrine esoteriche: basti pensare ad Ashmole, presidente e fondatore della Royal Society e cultore di alchimia e massoneria; oppure a Fludd e Yeats, che si interessarono al Rosacrucianesimo. D'altra parte, anche in tempi più recenti molti scienziati si sono avvicinati al mondo dell'esoterismo e dell'intuizione ( Jung).La tradizione iniziatica delle antiche scuole esoteriche è andata in gran parte perduta e non esistono scuole di livello superiore. Nel ridare vita a questi studi, ormai sviliti e confusi, e nel rileggittimarli secondo una dimensione più attuale fu determinante il contributo di Corbin, che divulgò il concetto di mundus immaginalis (un mondo intermedio che si colloca tra la materia e lo spirito). Anche Jung assunse un ruolo essenziale in questo senso, con la sua definizione degli archetipi. Grazie alla sua grande sensibilità interiore e al proprio intuito riuscì ad andare oltre l'aridità della visione scientifica. Riportò alla luce le antiche dottrine iniziatiche, alchemiche ed esoteriche, studiandone le origini e restituendo la propria nobiltà a ciò che appariva inutile e superato, sepolto sotto la polvere del tempo, schiacciato dall'ignoranza e dal materialismo più gretti. Va citato naturalmente anche l'apporto degli studiosi contemporanei che si batterono per riscattare l' esoterismo, come Antoine Faivre, René Guenon, Mircea Eliade ed Elémire Zolla."L' esoterismo è basato sull'assioma che il mondo sensibile non costituisce che una piccola parte della realtà. Il compito delle dottrine esoteriche è sempre stato quello di ottenere la conoscenza del mondo soprasensibile. Per raggiungere tale scopo non si avvalgono di uno strumento razionale ma dell'intuizione che l'iniziato Dante Alighieri chiama " luce intellettual piena d'amore". Per compiere l'indagine esoterica è indispensabile conquistare la capacità si utilizzare la facoltà intuitiva, attraverso un lungo tirocinio ed affinamento delle capacità latenti nell'uomo…alla radice di tutte le cose esiste un'energia, ripartita in vari ordini e livelli, la cui natura e sostanza devono essere comprese dall'uomo, in modo che possa impiegarla. Proprio perché opera nel misterioso campo delle energie, la scienza esoterica deve mantenere il segreto, riservando agli iniziati gli insegnamenti basilari- trasmessi in genere oralmente- ed il possesso della chiave dei misteri.Chiunque segua la strada esoterica deve essere scevro da settarismi e pregiudizi e favorire i rapporti tra le varie dottrine, per approfondirne la conoscenza. Si deve soprattutto agli antichi Egizi, ai Persiani, ai Frigi, ai Traci ed ai Greci, cioè alle antiche religioni misteriche se vi sono ancora loro tracce nelle religioni e filosofie moderne" "L'Egitto è la fonte dalla quale tutto si diffuse, la terra dove furono iniziati tutti i grandi esseri che bussarono alle porte dei suoi templi. Pitagora apprese a Tebe la scienza dei numeri, mentre Talete e Democrito acquistarono le loro conoscenze a Menfi. Si dice che anche Orfeo trovò in Egitto tutto ciò che ricercava, e che Platone ed Eudossio passarono molto tempo ad Eliopoli per appendere sia la morale sia le scienze matematiche. Fu a Sais che Licurgo e Solone attinsero i segreti della legislazione. Insomma, i luoghi iniziatici dell'Egitto erano anche scuole in cui si imparavano le arti, la filosofia, le scienze, la morale, la legislazione, la filantropia ed il culto". E inoltre, ma non per ultimi dobbiamo ricordare tra i vari personaggi che furono iniziati all'ombra delle piramidi anche Mosè e il Re dei Re, cioè Gesù Cristo. "Nella letteratura esoterica contemporanea compare il termine occultismo, spesso accomunato a catene o a correnti spiritiche di carattere magico- settario. Purtroppo si tratta di un aspetto attribuito erroneamente ad un ambito esoterico meno conosciuto e più profondo. L'esoterismo non è né una religione né una corrente specifica, ma un insieme di significati , di simboli, frutto di un percorso di ricerca che porta ad una dimensione iniziatica superiore. Rientra nell'ambito esoterico la facoltà, conseguita elevando le proprie capacità interiori, di conoscere e legare a sé le forze della natura, per utilizzarle in una forma magica e naturale, sempre a fini di bene e non egoistici, come accadeva nel Rinascimento e nella cultura celtica. "L'esoterismo, invece, è sempre stato e sempre sarà. Un grande faraone ha fatto incidere sulla sua tomba la frase "Io dormo, ma il mio cuore è sveglio": questo ci fa comprendere che grandi esseri che vivevano in tempi lontani avevano una conoscenza superiore alla nostra"( i vari brani sono tratti dai libri già citati).
L'esoterismo occidentale oggi.
È a partire dal secondo dopoguerra che gli storici delle religioni iniziano a prendere in esame i diversi ambiti della tradizione esoterica occidentale, fino ad allora ignorata dalla ricerca accademica. Vi sono così alcuni contributi quali i testi di Mircea Eliade per l'alchimia e lo sciamanesimo (Le Chamanisme et les techniques archaïques de l'extase, Paris, 1950; Forgerons et alchimistes, 1956), di Gershom Scholem per la cabala ebraica (Major Trends in Jewish Mysticism, 1941), di François Secret per la cabala cristiana (Les Kabbalistes chrétiens de la Renaissance, 1964), di Frances Yates per l'ermetismo e il neoplatonismo del Rinascimento (Giordano Bruno and the Hermetic Tradition, 1964; The Occult Philosophy in the Elizabethan Age, 1979), di Alexandre Koyré per la mistica e la teosofia tedesche (Mystiques, spirituels, alchimistes du XVIe siècle allemand, 1970), di Charles Puech per lo gnosticismo e il manicheismo. L’interessamento per l’esoterismo è continuato nel tempo ed oggi la sua fecondità è confermata dalla creazione di numerose cattedre in molti paesi, tra cui quella di Amsterdam (1999), e quella di Exeter in Inghilterra (2006). E in Italia, il Convegno internazionale alla Fondazione Cini nell’ottobre 2007, conferma l’attenzione a questa corrente spirituale che collega il passato con il presente, senza nulla togliere al cristianesimo. Semmai arricchendolo.
Maria de Falco Marotta

9 novembre 2009

- Il Superamento dei Dualismi.


In Bruno uno e molti finiscono per essere la stessa cosa perchè il principio é tutto interno al mondo ; ma allora che rapporto intercorre tra il principio e le cose che da esso si articolano ? Per capirlo possiamo fare riferimento ad un' immagine che propriamente é di Spinoza , il quale é un filosofo che si richiama palesemente al panteismo bruniano ; si capisce che non é un' immagine di Bruno perchè é " matematica " e in fin dei conti l' uso che fa Bruno della matematica é puramente " magico " : non a caso il suo processo comincia con l' accusa da parte del nobile veneziano che lo ospitava e pare che egli lo abbia denunciato per dispetto , in quanto Bruno gli aveva promesso di insegnargli la magia - matematica , ma lui era insoddisfatto degli insegnamenti . Al di là di questa vicenda personale , é interessante notare l' interessamento di Bruno per la magia , ossia la capacità di trasformare la realtà . Nel De Monade numero et figura tra numeri e figure si stabilisce un nesso organico che permette di conoscere la realtà trasformandola: tramite caratteri immagini e sigilli, tramite le strutture che regolano il ritmo. Conoscere i rapporti numerici e le figure geometriche significa individuare le proprietà delle cose, capire il loro significato nell’ordine del mondo, poter agire (e agire effettivamente) sulle cose . Però da un passo di Bruno emerge che cosa egli effettivamente intendesse per magia ; il passo dice : " grande magia sarebbe quella di uno che fosse in grado di passare dall' unità alla molteplicità e dalla molteplicità all' unità " . La magia é da lui intesa come capacità di cogliere i meccanismi secondo i quali l' unità si articola nella molteplicità , e la molteplicità é tutta " ricomposta " nell' unità . Si tratta del vecchissimo problema che risale alle origini della filosofia : già Talete diceva che il principio fosse l' acqua e in qualche modo doveva spiegare in che senso essa poteva diventare tutte le cose e in che senso tutte le cose erano acqua : come possono l' uno e il molteplice collegarsi tra loro ? Bruno affrontava la questione sfruttando teorie pitagoriche, ma questo non riusulta particolarmente interessante . Torniamo ora all' immagine di Spinoza che ben spiega la questione : é un' uso metamatematico , alla Cusano : " il mondo e tutte le sue articolazioni ( i modi ) derivano dall' unica sostanza divina come le proprietà del triangolo derivano dall' essenza del triangolo " : questa immagine che di non bruniano ha solo l' uso metamatematico é particolarmente significativa perchè fa capire come il passaggio dall' uno al molteplice non implichi un " uscir fuori " del molteplice dall' uno : il passaggio dall' uno ai molti era sempre stato visto come un esteriorizzarsi dell' uno : per esempio , in Plotino quando l' essere usciva dall' Uno manteneva pur sempre un legame con esso , un " peduncolo " , tuttavia la fonte non era il ruscello ; stesso discorso valga per Cusano ; invece pensiamo al triangolo e alle sue proprietà e ai suoi teoremi : ragionando sull' essenza del triangolo , per dire , posso arrivare a dimostrare che la somma degli angoli interni vale 180 gradi . Allora é chiaro che dall' unica essenza del triangolo faccio venir fuori cose che erano implicite ; in fondo é l' idea cusaniana dell' esplicazione e della complicazione : tutto é complicato nell' essenza del triangolo e poi si esplica sotto forma di teoremi , proprietà , ecc . Però una diversità rispetto a Cusano c'é : la contrazione di fatto non c'é , non c'é un uscir fuori , un distaccarsi del mondo rispetto a Dio : i teoremi non stanno mica fuori dal triangolo , mica escono fuori da lui ; in Cusano invece era come se con la complicazione ci fosse quasi un' altra cosa , diversa dal massimo assoluto . Gli enti singoli e finiti che compongono l' universo ( che poi é Dio ) non sono altro che manifestazioni individuali dell' unica sostanza divina : già per gli stoici le cose erano modi di manifestarsi dell' unica forma , sostanza divina ( il Logos ) . Quella di Bruno é quindi , in modo radicale , una concezione monistica : non ci sono tante sostanze , ma una sola , che di fatto é Dio e si identifica con il mondo . Quelle che noi chiamiamo comunemente sostanze sono solo " articolazioni " interne dell' unica sostanza ( così come le proprietà del triangolo sono articolazioni del triangolo stesso ) : é il triangolo che esiste , non le sue proprietà ; esse esistono solo come proprietà del triangolo , hanno cioè esistenza " parassitaria " proprio come gli accidenti aristotelici ( il giallo , il bello , il grosso ) che per esistere hanno bisogno di una sostanza alla quale riferirsi ( un libro , un cavallo , una casa ) . Solo che per Aristotele gli accidenti erano riferiti alle singole sostanze , mentre per Bruno sono le cose ad essere accidenti , singole manifestazioni dell' unica sostanza . Il che implica , tra l' altro , la negazione della morte , che non esiste : Bruno riprende le posizioni eleatiche , che vedevano la morte come aggregazione e disgregazione : la morte esiste solo come trasformazione dell' unica sostanza . Uno potrebbe dire che magari sarà anche vero che la morte é solo disgregazione , ma comunque questo non ci garantisce due cose : il permanere della vita e della coscienza . Per Bruno però il mondo non é un mondo inerte e meccanicistico , bensì é un mondo vivente : é vero che per lui non esiste la sopravvivenza individuale , ma in realtà propriamente non é morto perchè ciascuno di noi di fatto non é una sostanza , é solo un manifestarsi dell' unica sostanza , in secondo luogo perchè la materia di cui siamo fatti quando moriamo si trasforma in altro : nessuna materia é inerte e quando moriamo lasciamo comunque spazio ad una materia che continua ad essere viva , perchè tutto é vivo . Bruno crede , da buon platonico , al concetto di anima del mondo : il mondo é un grande essere vivente , anzi , in fin dei conti é l' unico essere vivente : infatti tutti quelli che noi chiamiamo enti non esistono come sostanze , ma come manifestazioni dell' unica sostanza che é il mondo e quindi Dio . In altre parole , noi non consideriamo un dito come essere vivente , ma lo consideriamo come organo facente parte di un unico essere vivente , il corpo umano . Questo é il nostro modo di pensare : in un certo senso Bruno concepisce tutta la realtà come viva e tutti gli enti come manifestazioni dell' unica sostanza , come se ciascun ente fosse un dito dell' unico corpo vivente che é il mondo . Perchè queste manifestazioni della realtà , che noi chiamiamo enti , si chiamano invece modi ? Perchè dovendo dire quale é la differenza tra il Dio - universo ( l' unica vera sostanza ) e le singole cose , Bruno dice questo : " sia l' universo sia le singole cose possiedono tutto l' essere " : le cose per Bruno propriamente rispetto all' universo sono qualcosa di più che una parte , sono un modo di manifestarsi di essa : non é che l' universo ha tutto l' essere e che le cose ne abbiano " pezzetti " ; Bruno insiste che ogni cosa ha in sè tutto l' essere , ciò che ogni singola cosa non possiede in sè sono tutti i modi di manifestarsi dell' essere , che invece sono posseduti dall' universo ( da Dio ) . In altri termini non ci sono cose con più essere e altre con meno essere : l' essere o c'é o non c'é ; in ogni singola cosa c'é tutto l' essere : é una concezione parmenidea ; c'é infatti una frase nel poema di Parmenide in cui si dice : " l' essere non é di più qua e di meno là ; l' essere che c'é c'é tutto " . Per non cadere nell' eleatismo più totale , che finisce per bloccare tutto quanto ( perfino il movimento , la molteplicità ) Bruno arriva a dire : se ogni ente ha in sè tutto l' essere ( come l' universo stesso ) , é altrettanto vero che ogni ente ha solamente un modo dell' essere , mentre tutti i modi sono presenti solo nell' universo che é appunto somma di tutti i modi . L' universo ha tutto l' essere e tutti i modi di essere , ogni ente ha tutto l' essere , ma non tutti i modi di essere : un ente é solo una manifestazione particolare dell' essere . Esaminiamo ora meglio la questione del monismo bruniano , monismo che innanzitutto significa avere a che fare con un' unica sostanza ( l' universo ) ; però significa che oltre ad essere una numericamente , la sostanza é una qualitativamente : é un monismo qualitativo strettamente connesso alla differenza che c'é tra la filosofia bruniana e quella cusaniana : il rapporto Bruno - Cusano abbiamo visto che in fin dei conti consiste in una presa da parte di Bruno della filosofia cusaniana e nella estirpazione del concetto di contrazione ( cosa che porta Bruno ad eliminare ogni differenza tra Dio e il mondo ) , per cui ciò che Cusano poteva attribuire a Dio , Bruno può attribuirlo al mondo , che infatti si identifica con Dio ; la definizione tipicamente cusaniana di coincidenza degli opposti che attribuiva a Dio , Bruno la allarga all' intero mondo , il che significa che tutta una serie di dualismi che nella tradizione aristotelica era particolarmente forte , tende a sparire ; é quindi un monismo anche nel dire che le coppie di aspetti opposti caratteristici della realtà vengono superati . Il dualismo più caratteristico era sempre stato quello materia - forma , che a sua volta dava vita a quello potenza - atto ; sono proprio loro ad essere superati : gli apparenti opposti non sono più tali e materia e forma finiscono per essere la stessa cosa : vuol dire che in Bruno la materia cessa di essere realtà inerte per diventare un qualcosa di vivo e produttivo ; in Aristotele la materia era totalmente inerte e per assumere aspetti e per muoversi doveva assumere la forma : la materia era passiva , la forma attiva . In Bruno invece la materia diventa attiva e le forme non sono cose che si aggiungono alla materia per trasformarla ; le forme per Bruno emergono dalla materia stessa ; ricorda vagamente i logoi spermatikoi degli stoici , con questa differenza però : i logoi spermatikoi erano forme particolari che di volta in volta emergevano dall' unica forma generale ( il Logos ) ; per egli é vero che esiste un' unica forma e un' unica sostanza ( e quindi sono anche loro monisti quantitativamente ) , ma sotto l' aspetto dei dualismi sono fedeli ad Aristotele : c'é materia e forma ; in Bruno invece non é così , non c'é più differenza materia-forma : é la materia stessa che fa emergere le forme perchè non é statica , ma é " viva " ( infatti é Dio stesso ) : la materia é già forma di per sè perchè é vita , é sensibilità . Il mondo di Bruno é un mondo vivente e Bruno in fin dei conti é un ilozoista ( ule , materia , + zoo , vivere , = materia vivente ) : é ilozoista anche più dei presocratici , perchè essi concettualmente non vedevano distinzioni tra vita e materia , ossia non erano ancora riusciti a distinguere effettivamente le due cose . L' idea di attribuire vita alla materia é quindi tipicamente bruniana . La materia é viva e divina ; Bruno si richiama ad un pensatore minore del Medioevo , Davide di Dinantes , il quale fu condannato dalla Chiesa perchè sosteneva l' identificazione tra Dio e materia , tramite un ragionamento : se la materia é potenza ( con la confusione di potenza come forza al posto di potenza come poter essere , come di fatto intendeva Aristotele) allora essa é Dio stesso , che per definizione é potenza ( la prima persona della Trinità é infatti la Potenza ) . Anche potenza e atto in Bruno finiscono per essere lo stesso : la potenza diventa lei stessa capace di creare l' atto ( come la materia si dà la forma ) : Dio é la materia e la materia é Dio . Questa idea della materia viva e divina fa tra l' altro cadere la distinzione tipicamente aristotelica tra motore e mobile : per Aristotele tutto ciò che si muove deve per forza essere mosso da altro ( omne movens ab alio movetur ) perchè la materia é pura passività ; con Bruno invece la materia diventa viva e quindi i motori non sono estrinseci , ma intrinseci : ogni corpo é mosso dal principio intrinseco " che é l' anima propria " . Che l' universo non abbia un estrinseco motore risulta dalla considerazione che esso é infinito ; quindi il moto compete solo alle sue parti , cioè ai singoli astri , ma non al tutto , che é immobile : l' universo , che guardato dal punto di vista dei particolari infiniti esseri che lo compongono é sede del movimento e del divenire , in sè invece é unico , immobile ; una cosa per essere in moto si deve spostare da un punto A ad uno B , ma l' universo nel suo insieme non potrà muoversi perchè non ha luogo in cui trasferirsi in quanto é già lui l' insieme di tutti i luoghi ; esso accoglie , nella sua identità impassibile e immutevole , i contrasti e le vicende degli esseri : il mondo non ha divenire , ma le cose divengono nel mondo . Viene quindi a mancare ogni ragione di porre un motore unico nel mondo . E' questa un' innovazione importantissima sul piano metafisico perchè in questo modo viene tolto a Dio , il tradizionale motore immobile dell'aristotelismo, il compito di imprimere dall' alto e dall' esterno il movimento al mondo e viene invece l' idea della divinità a trasformarsi in un principio intrinseco e immanente dell' animazione cosmica . Tra l' altro il riconoscere che Dio e il mondo sono lo stesso e che la materia e la forma , in un certo senso , sono lo stesso , implica anche il superamento del dualismo libertà - necessità : assumono per Bruno come per gli stoici lo stesso significato ; in Bruno c'é l' idea che ciò che l' uomo deve fare é riconoscere la sua appartenenza al tutto . E' particolarmente evidente questo in una filosofia come quella di Bruno : esistiamo come aspetto di un' unica sostanza e l' errore clamoroso che può commettere l' uomo é di credere di esistere come realtà staccata e indipendente dalle altre : si deve cercare di concepirsi come parte del tutto , o meglio , come manifestazione del tutto . E' un modo particolare per realizzare quella cosa che da Platone in poi é stata definita la " omoiosis theo " che significa " diventare simile a Dio " , assimilarsi a Dio : é il tentativo dell' uomo di diventare un Dio ; per Bruno l' uomo , come ogni altro ente , é già Dio ( perchè manifestazione dell' unica sostanza che é proprio Dio ) , deve solo riconoscerlo : diventare Dio non é altro che riconoscere di essere Dio per Bruno . Come per gli stoici , si deve riconoscere ciò che già si é : Nietzsche diceva " come si diventa ciò che si é " e ciò che insegna Bruno é proprio questo : basta sapere ciò che si é . C'é un ultimo dualismo importantissimo che viene da Bruno superato : si tratta del dualismo mondo celeste - mondo sublunare , mondi che per Aristotele erano in netta contrapposizione . Questo dualismo Bruno lo nega , Copernico lo afferma : questo , tra l' altro , spiega come la filosofia tenda sempre ad arrivare prima della scienza : fino al 1800 la teoria atomistica , per esempio , non era scientifica , ma era già stata elaborata in termini metafisici da Democrito e da Epicuro; l' infinità dell' universo é stata prima pensata da Bruno , che é un filosofo , e poi riconosciuta scientificamente ( ed oggigiorno é stata messa in dubbio ) . Un' immagine che ben spiega l' infinitezza dell' universo e la sensazione di finitezza che tuttavia ne deriva é quella della foresta , di cui Bruno si avvale nel De immenso : se mi trovo in una foresta immensa ( diciamo pure infinita ) in qualunque luogo io mi trovi ho l' impressione di essere al centro , perchè nell' infinito il centro é dappertutto . Al parziale superamento scientifico del dualismo mondo sublunare-mondo celeste si arriverà dopo qualche decennio , Bruno ci é arrivato in senso metafisico , con la coincidenza degli opposti . Dire che ci sono due materie radicalmente diverse che compongono l' una il mondo terrestre e l' altra quello celeste , vuol dire che esiste una materia corruttibile e una materia incorruttibile ; per Aristotele poi le stelle erano attaccate al cielo delle stelle fisse . Bruno nega i dualismi e l'intero universo é fatto dalla stessa materia , da Dio . E' poi interessante notare il fatto che Bruno recuperi oltre a Parmenide anche Eraclito, perchè vede la materia come un continuo divenire , in continuo moto . L' immagine della foresta poi va vista come duplice dimostrazione : in primis dimostra la non certezza dei punti di riferimento ; poi fa capire che pure l' idea del cielo delle stelle fisse é un' illusione ottica : ci pare che oltre il cielo delle stelle fisse non ci sia più niente , ma in realtà il mondo continua all' infinito ; proprio come nell' immensa foresta ci sembra sempre di essere al centro e in una realtà finita perchè all' orizzonte per via di un' illusione ottica ci sembra che gli alberi finiscano , ma in realtà continuano ; in questo modo la " molesta turba del Sofista potrà ritenere che ciò che é espresso dai sensi sia la verità " , ossia penserà che l' universo sia finito facendo lo stesso ragionamento di quando ci si trova in un' immensa foresta : si pensa sempre di essere al centro . Allo stesso modo se noi fossimo su un altro pianeta ci sembrerebbe di essere al centro dell' universo . Il mondo di Bruno é assolutamente omogeneo nella sostanza e le stelle stesse non sono collocate tutte alla stessa distanza , ma in profondità : nella foresta infinita , guardando all' orizzonte , ci sembrerà che tutti gli alberi siano allineati sul fondo e non disposti in profondità ; la stessa cosa vale per le stelle , che per lo stesso effetto ci sembrano tutte allineate sullo stesso piano , ma che in realtà sono disposte in profondità . Quelle che noi chiamiamo costellazioni perdono allora di significato perchè ai nostri occhi risultano stelle allineate , ma in realtà sono disposte in profondità le une rispetto alle altre .