25 settembre 2010

- Il Pensiero Pitagorico.

Pitagora nacque nell'isola di Samo intorno al 571 a.e. In gioventù, stando alla tradizione, viaggiò in tutte le parti del mondo allora conosciuto. Particolare importanza ebbe per lui l'incontro con la civiltà egiziana, che gli permise d'essere iniziato ad alcune religioni esoteriche. Dal contatto con il popolo ebreo, sembra che abbia poi appreso l'arte di interpretare i sogni. Verso i quarant'anni, non potendo più sopportare la tirannia di Policrate, lasciò Samo e si stabilì definitivamente a Crotone. Qui dette vita alla sua famosa scuola. Più che di scuola, si dovrebbe parlare di una comunità a sfondo prevalentemente eticoreligioso, che però si occupava anche di concreti problemi sociali e politici. A lungo andare l'atteggiamento aristocratico dei pitagorici, ed il fatto che nella comunità venivano accolti soprattutto i giovani delle migliori famiglie, diede fastidio al partito democratico. Pitagora fu costretto a lasciare Crotone. Si rifugiò nel Metaponto dove morì verso il 479. La scuola, secondo la tradizione, gli sopravvisse ancora per un secolo, finché non venne eliminata dai democratici che uccisero tutti i suoi adepti. Si salvarono soltanto Liside e Aristippo; il primo si rifugiò a Tebe dando vita a quella che fu poi chiamato il pitagorismo tebano; il secondo fu l'iniziatore del pitagorismo tarantino. Pitagora non lasciò nulla di scritto, e ciò rende piuttosto difficile la differenziazione del suo pensiero da quello dei suoi discepoli. Dato però che nella scuola era fortemente sentito il principio di autorità del maestro, possiamo supporre che non esistano diversità sostanziali fra la dottrina primitiva — segreta — e quella che venne poi divulgata da Filolao in un'opera che ci è pervenuta soltanto in frammenti). Pitagora era profondamente convinto che il processo verso la perfezione non avesse limiti per l'uomo. Riconosceva che la strada era irta di ostacoli, ma sottolineava l'esistenza di alcuni fattori che dipendono solo da noi stessi. Per diventare artefici del proprio destino bisognava rendersi consapevoli di tali fattori, e, nel contempo, neutralizzare quelli nocivi, indipendenti dalla nostra volontà. La caratteristica essenziale del pensiero pitagorico sta nell'indagine sull'uomo e sui mezzi da prescrivergli affinchè la vita abbia uno scopo (8). Il problema che il pitagorismo si pone è questo: « Esiste un particolare regime di vita che, oltre ad offrire un maggior benessere fisico ed intellettuale, possa stimolare alcune facoltà latenti, privilegio di pochi fortunati? ». Ecco la « grande questione » dei pitagorici. Tutti i loro sforzi convergono verso il punto essenziale della rigenerazione umana, la nascita di un nuovo tipo di uomo. Gli storici si sono sempre trovati d'accordo nel ritenere che l'educazione impartita da Pitagora avesse lo scopo di formare uomini superiori. Tutte le riforme politiche proposte dalla scuola, pur aspirando ad un maggior benessere dei cittadini, avevano anche di mira il loro perfezionamento. Ma qual era questo ideale di perfezione? Sappiamo da Aristotele che i pitagorici sostenevano l'esistenza di tre esseri razionali: Dio, l'uomo e l'uomo pitagorico, quest'ultimo intermediario fra Dio e l'uomo. Compito dell'uomo era quello di tendere verso Dio. Si trattava quindi di un vero e proprio « superamento », ottenibile secondo i pitagorici, attraverso un particolare regime di vita, regime che « mirava a potenziare, trasformare, glorificare corpo ed anima; lo uomo pitagorico era tale se anche fisicamente più bello, più vigoroso, più resistente alle fatiche, alle privazioni, alle malattie, più giovanilmente longevo, era tale solo se possedeva maggiori e più varie attitudini che lo rendessero atto a tutti i bisogni della vita; se possedeva un'intelligenza più vasta, un più ampio orizzonte intellettuale, una più profonda capacità di penetrazione nei segreti della misteriosa natura ». L'uomo pitagorico si distingueva dunque per una certa sua capacità taumaturgica, un dinamismo psichico che faceva di lui un centro di irradiazione, che gli consentiva di dominare la natura spiritualmente, non meccanicamente, di penetrarla e comprenderla non dall'esterno, ma dall'interno . Nulla era lasciato al caso in quest'opera di profonda trasformazione. Pitagora aveva capito che ognuno può essere l'artefice del proprio destino, e che per ottenere la realizzazione di sé stessi bisogna innanzitutto farsi consapevoli di quel che dipende soltanto da noi. Egli espresse in versi questo concetto: Conoscerai che gli uomini di propria scelta si procacciano i mali, infelici che, stando loro appresso i beni, non li guardano né intendono...). « Gli uomini si procacciano i mali ». Ma quando il male colpisce ciecamente? Come superare il problema dell'apparentemente arbitraria distribuzione del bene e del male su questa terra? E qui si innesta un altro punto capitale del pensiero pitagorico: la metempsicosi. L'anima, prima di giungere una volta per sempre a Dio, deve sottostare ad un certo numero di prove, ed ogni vita trasmetterà i suoi effetti ad una vita successiva, che sarà migliore o peggiore a seconda di quel che avremo precedentemente meritato. Ecco perché possono riversarsi tante disgrazie su di un uomo che sembra nascere per la prima volta; è l'effetto di precedenti esistenze vissute nella malvagità e nell'errore. L'avvicinarsi dell'anima a Dio, alla sua forma originaria e propria, da cui un tempo parti, è un processo graduale e lento, pieno di ripensamenti, di ritorni e di dolore. Secondo la metempsicosi la vita è un circolo, nel senso che l'anima è naturalmente protesa al ritorno verso il luogo originario, il pitagorico perciò era sempre teso al superamento della sua personale esistenza: ma vedeva forse questo superamento soltanto in funzione di una beatitudine eterna? Il genuino pensiero pitagorico era ben lontano da una simile impostazione. I pitagorici si impegnavano moltissimo per modificare le condizioni ambientali, sociali e politiche, perché sapevano che tali condizioni sono in ogni tempo determinanti per l'armonioso sviluppo dell'individuo. Essi volevano che l'uomo « fosse un potenziato su questa terra e per questa terra in cui il destino lo fa nascere»; ma erano anche certi che il potenziamento in ogni singola vita favorisce, nelle vite successive, quella crescente assimilazione a Dio che dovrà rompere in ultimo il giro dell'esistenza. Si doveva però sempre vigilare, perché la vita umana scorre in continua lotta tra la spinta al superamento e l'attrattiva della banalità. Alla base di questa lotta sta il dinamismo degli opposti, il pari e il dispari, che sono « l'archetipo di tutta quella sequela di opposti, antinomie fisiche e morali, di cui il mondo è costituito » . I pitagorici sentirono in modo prepotente tale aspetto della realtà: l'inevitabile presenza, in ogni « caso » del vivere, di due opposti non contraddittori, ma destinati alla sintesi per mezzo dell'anima. Questa teoria, appunto perché presuppone una sintesi che armonizza gli opposti trascendentali, si riallaccia alla concezione del divenire continuo di tutte le cose. In un frammento pitagorico si narra di come un tizio, per liberarsi dal suo creditore, ricorresse ad alcuni argomenti filosofici: « ...così, vedi, sono anche gli uomini. L'uno cresce, l'altro saie: in mutamento siam tutti, per tutto il tempo. Dunque: quello che muta per natura e mai resta nel medesimo stato, mi sembra che sia già per essere diverso dal mutato. Anche tu ed io siamo altri oggi da quelli di ieri, e altri saremo in futuro né mai i medesimi, secondo identica legge... ». Il primo sistema filosofico che viene in mente è quello di Eraclito. Ma questa derivazione dall'eraclitismo è stata dimostrata del tutto falsa sia con argomenti filosofici che cronologici, tanto che spetta senz'altro alla scuola pitagorica il merito di aver formulato le prime tesi riguardo al continuo mutare dell'universo e alle categorie ordinatrici di questo mutare. Un suggestivo parallelo potrebbe essere individuato nella concezione dell'I King: lo Yin e lo Yang sono i principi (l'uno femminile, l'altro maschile) centrali e cosmogonici della realtà mutevole, e, al di sopra di essi, sta il Tao. Il Tao non rappresenta la loro somma, ma il Superiore principio che li sintetizza: è una forza regolatrice, ritmica, armonizzatrice. E veniamo al concetto di numero, pilastro della filosofia pitagorica. Alcuni studiosi ritengono che la teoria del numero sia balenata a Pitagora durante i suoi esperimenti nel campo dell'acustica. Servendosi di un monocordo, egli era giunto a scoprire il rapporto che passava fra l'altezza del suono e la lunghezza della corda: deducendo da tale fenomeno una certa espressione numerica, si accorse che questa, allo stato delle conoscenze di allora, poteva applicarsi a tutti i fenomeni naturali; da ciò concluse che l'elemento primordiale di tutte le cose fisiche, come pure delle entità ideali, fosse il numero che venne cosi a identificarsi con il « principio » lungamente cercato da tutte le filosofie precedenti. L'uno, o monade, è dunque il primo principio. Dall'uno si genera la diade, poi la triade, portentoso simbolo della divinità. Simbolo geometrico della triade è il triangolo. La tetrade era invece ritenuta l'origine della eterna natura: basti ricordare i quattro elementi, i quattro trimestri dell'anno, i quattro umori, i quattro temperamenti e le quattro facoltà critiche dell’ uomo. L'anima stessa, oltre che come un cerchio e una sfera, era considerata come un quadrato. La tetrade aveva inoltre attinenza con le età dello uomo: sappiamo che i pitagorici distinguevano nella vita quattro età, e che ritenevano difficile l'armonizzarle: « Esse infatti, quando una saggia guida non operi fin dalla nascita, tendono ad essere corrotte l'una dall'altra». E vediamo come, secondo il pitagorismo, la vita d'un uomo può essere suddivisa: fanciullo fino a vent'anni adolescente fino ai quaranta; giovane fino ai sessanta; vecchio oltre i sessanta. Tale suddivisione presuppone sempre il concetto dell'armonia, e quindi la problematica dei contrari: «Tener questo conto delle età, vuoi dire metterle in armonia le une con le altre, regolare ed assecondare i trapassi che da esse conseguono, recuperare nel conflitto delle opposte tendenze l'armonia generale della vita; e questo è alla fine il segreto dell'educatore e la specialità dei Pitagorici ». Ma la scuola pitagorica, in termini di « armonizzazione », si assunse un altro compito veramente rivoluzionario: la rivalutazione della donna. Nel VI secolo il primo compito della donna era quello di generare figli. Subordinata al marito, aveva soltanto doveri da assolvere, mentre la sua formazione culturale non superava l'orizzonte delle cose domestiche. Pitagora si presenta alla ribalta della storia come il paladino del sesso femminile, ne difende i diritti e rivaluta la missione della donna in seno alla società: « Egli insegna agli uomini che opprimere la donna è colpa. La femmina non deve essere soggetta allo sposo, ma deve stargli a lato dotata di un identico diritto ». La donna diventa compagna dell'uomo, e, pur non perdendo le sue virtù tradizionali, viene resa partecipe delle più alte forme di vita spirituale. Pitagora, in uno dei suoi discorsi, sostenne che per i due sessi esistono senz'altro occupazioni diverse e caratterizzanti, ma che le più alte prerogative della vita umana sono ad entrambi accessibili; le donne vedevano così spalancarsi la porta della filosofia, e si trovavano vicine all'uomo nell'apprendimento di verità psicologiche: « Le donne iniziate da Pitagora ricevevano con riti e precetti i principi supremi della loro funzione; egli dava a quelle che ne erano degne la coscienza del loro ufficio. Svelava loro la trasfigurazione dell'amore nel matrimonio perfetto, che è la fusione di due anime, il centro stesso della vita e della verità. L'uomo, nella sua forza, non è il rappresentante del principio e dello spirito creatore? La donna, in tutta la sua potenza, non personifica la natura della sua energia plastica, nelle sue realizzazioni meravigliose, terrestri e divine? Ebbene, che questi due esseri giungano a fondersi interamente, corpo, anima, spirito, e formeranno insieme un compendio dell'universo... C'è una ricerca disperata dell'altro sesso, ricerca che nasce da un divino stimolo inconscio e sarà un punto vitale per la ricostruzione dell'avvenire: perché quando l'uomo e la donna avranno trovato sé stessi e l'uno e l'altro per virtù dell'amore profondo e dell'iniziazione, la loro fusione sarà la forza luminosa e creatrice per eccellenza... ». Il motivo ricorrente della problematica pitagorica è la convinzione che l'uomo possa migliorare indefinitamente. Per questo i pitagorici avevano elaborato «il regime di vita pitagorica»: si alzavano molto presto al mattino e, soli, se ne andavano passeggiando in luoghi tranquilli, rallegrati da boschi e da templi: volevano sentirsi ben disposti d'animo prima di venir in contatto con gli altri; più tardi, mediante la ginnastica, si prendevano cura del loro corpo; poi la colazione con pane, miele e decotto di mele; durante il giorno non bevevano mai vino. Dopo la colazione ognuno si dedicava ai propri uffici. A sera riprendevano le passeggiate, non più soli ma in compagnia, richiamando alla mente gli insegnamenti e i precetti della dottrina. Poi mangiavano la carne di quegli animali che era lecito sacrificare, e bevevano del vino. Al termine del pasto il più giovane leggeva dei libri, mentre il più anziano sovraintendeva alla lettura dicendo che cosa e come dovevano leggere. In ultimo il « maestro » impartiva i suoi insegnamenti e ciascuno se ne tornava a casa. La mattina dopo il pitagorico non si alzava dal letto senza prima aver ricordato le cose avvenute il giorno innanzi: si sforzava di richiamare alla memoria le prime parole dette e ascoltate e i primi ordini dati ai familiari; poi, man mano, tutte le altre cose dette, ascoltate o fatte. Ciò perché la memoria e il suo esercizio erano ritenuti utilissimi per la conoscenza, esperienza e intelligenza. Ora, in chiave psicologica, non è difficile vedere in tale pratica un vero e proprio « esame di coscienza », una volontà di mantenersi vigili ai fatti della vita quotidiana: si trattava non tanto di esercitare la memoria, quanto di acquistare una maggiore consapevolezza. Non ci è dato sapere fino a che punto l'inconscio fosse congetturato dai pitagorici. E' comunque indubbio che la psicologia del profondo ha dei lontani precedenti in alcune religioni misteriche, nelle quali si prestava una certa attenzione alla voce dell'inconscio. Pitagora, stando alla tradizione, era esperto nell'interpretare i sogni, ma non sappiamo in che misura egli adoperasse questa perizia nella sua comunità. Siamo però informati che la fisionomica nasce con Pitagora. Egli osservava per un lungo periodo gli aspiranti discepoli, li guardava nei momenti di maggiore rilassatezza, durante il gioco per esempio, o i pasti, particolare attenzione dedicava al riso, perché aveva intuito che in quei momenti il volto non poteva mentire; Pitagora sapeva dunque che l'espressione emotiva, non soggetta alla forza cosciente, era il mezzo più efficace per la conoscenza dell'uomo.
Aldo Carotenuto

20 settembre 2010

- I Tarocchi in chiave massonica


Le formule del cosiddetto pensiero positivo non bastano a comprendere l’oggettivo significato dei simboli, che può essere percepito soltanto da chi vi si accosti, aprendosi ad essi mediante la legge dell’analogia e con la libertà di quel pensiero creativo e sintetico che stimola l’intuizione del ricercatore. La comprensione rivelatrice è la possibilità attraverso cui le porte dei Tarocchi si dischiudono a colui che, povero in spirito, non formula giudizi, mentre si serrano, al contrario, per i curiosi, intrisi di profane certezze. Il carattere distintivo del grande libro della natura è, infatti, la libertà. I Tarocchi sono costituiti da 78 carte: le prime 22 sono gli Arcani maggiori, contraddistinti da numeri e lettere, oltre che da variopinte figure; fra queste, c’è una carta non contraddistinta da alcun numero, e raffigura il Matto. Essa può essere estrapolata dai primi 21 arcani maggiori e considerata, per la sua peculiarità, come un elemento di giunzione: unisce, infatti, i primi 21 simboli alle successive 56 carte, denominate Arcani minori, e divisibili, a loro volta, in quattro mazzi da 14 carte ciascuno, distinti in denari, bastoni, spade e coppe, ovvero quadri, fiori, picche e cuori. Secondo questa suddivisione, poi, ad ogni seme viene analogicamente accostato ciascuno dei quattro elementi: terra (denari, quadri), acqua (coppe, cuori), aria (spade, picche) e fuoco (bastoni, fiori). I 21 Arcani maggiori (senza il Matto), a loro volta, possono essere distinti in tre gruppi da 7, in modo da formare i tre lati di un triangolo equilatero; i 56 Arcani minori, suddivisi nei quattro mazzi di 14 carte, compongono i 4 lati di un quadrato circoscritto al triangolo, mentre il Matto è un punto centrale, equidistante dalle due figure geometriche. Il triangolo (arcani maggiori) rappresenta la dimensione spirituale e cioè, Dio; il quadrato (Arcani minori), la realtà materiale, dominata dai quattro elementi, mentre il punto centrale, il Matto, è l’uomo, perno di giunzione fra il divino e il mondo manifesto: egli si pone al centro di una mistica croce che unisce la realtà fenomenica (asse orizzontale) a quella dei noumeni (asse verticale). Il Sacro Nome di Dio, nella tradizione ebraica, è indicato dalle quattro lettere Iod, He, Vau, He: la lettera Iod è associata al Padre (elemento fuoco, bastoni), He alla madre (acqua, coppe), Vau al Figlio (aria, spade) e He (terra, denaro) è il prodotto di questa mistica unione, che genera la santa trinità. Da questi brevi cenni, si comprende come il Libro dei Tarocchi possa essere considerato una sorta di enciclopedia delle scienze sacre. Nelle carte degli Arcani maggiori può, infatti, trovare riscontro la sapienza ermeticoalchemica e quella ebraicocabalistica, ma anche l’astrologia e la magia cerimoniale, così come la psicologia sacra, compresa così bene dai custodi degli antichi misteri ed oggi pressoché dimenticata; in esse è indicata la stessa via del Libero- Muratore, il cui scopo è di costruire il proprio Tempio interiore mediante un cammino iniziatico attraverso cui, gradualmente, si aprono le porte della Verità. I simboli espressi dai Tarocchi indicano, dunque, al ricercatore molteplici percorsi per l’ottenimento dell’unico risultato: la palingenesi e dunque, quel cambiamento ontologico del proprio stato, vero scopo di tutte le Iniziazioni, di tutte le scuole esoteriche e del sapere occulto delle stesse religioni. Non è un caso che uno studioso di vasta competenza come Piotr Demianovitch Ouspensky abbia definito i Tarocchi come un libro di contenuto filosofico e psicologico, una sorta di sinossi delle scienze ermetiche in cui la cabala, l’alchimia, l’astrologia e la magia sono sistemi simbolici paralleli di psicologia e metafisica. Essi rappresentano, sotto forma di complessi simboli, un grande sistema psicologico, in grado di studiare il mondo dei fenomeni e fra questi l’uomo, in modo unitario, non disgiunto dalla dimensione spirituale, ma fondato su di essa, da cui trae la sua stessa esistenza: un mezzo complesso e completo per conoscere sé stessi e tracciare un intimo percorso che porti l’essere disgiunto e frammentato alla soglia della vera individualità, alla dimensione dell’uomo totale. Seguendo questa traccia, appare chiaro come la comprensione non debba essere ricercata sui libri,ma nasca da un lavoro reale, poiché occorre penetrare dentro di sé per fare in modo che il fiore germogli. Gli Arcani maggiori possono essere studiati secondo una progressione numerica o, come ci ricordano Oswald Wirth e lo stesso Ouspensky, anche seguendo la legge della corrispondenza, disponendo le carte a coppie, la prima con l’ultima, la seconda con la penultima, la terza con la terzultima e così via.
Gli Arcani maggiori
La carta che reca il numero 1 è il Bagatto: raffigura un giovane biondo e di bell’aspetto davanti ad un tavolo a tre gambe su cui si trovano una coppa, una spada e un denaro; in una mano reca un bastone e sul capo un cappello a forma di infinito. Questo giovane è colui il quale può fare, che entra in una via di perfezione interiore e, consapevolmente, adopera gli strumenti che l’Arte riserva al proprio percorso interiore. Esprime l’io cosciente e la volontà di chi sa che per giungere al termine della via occorre volere, osare, sapere e tacere. Solo un essere simile potrà ricevere la Luce massonica, perché potrà guardare oltre il velo solo colui il quale, nella stessa vita profana,manifesti quelle qualità essenziali per incominciare il lavoro di sgrossamento di sé stesso. Una volta espresso il proposito di iniziare il percorso, ci si accosta alla porta del Tempio custodito dalla Papessa (II): essa è seduta su un trono, avvolta da un manto di porpora e ha in testa una tiara d’oro sormontata dalla luna. In una mano reca il libro della Gnosi, nell’altra le due chiavi d’oro e d’argento che indicano al ricercatore la necessità di passare fra le due colonne, una bianca (Jakin) e l’altra nera (Bohaz). Le due chiavi sono le forze che eternamente si contrappongono nell’uomo: positiva e negativa, l’azione e la reazione. Riuscirà a passare oltre, però, soltanto chi riconoscerà l’esistenza di una terza forza, quella neutralizzante, ovvero la Santa conciliazione fra gli opposti, indicata da una chiave non visibile come le prime due: chi sarà in grado di sperimentare in sé stesso tale processo avrà imboccato la via per uscire dalla dualità e giungere all’individualità. Questo è possibile grazie all’intelligenza creativa, simboleggiata dall’Imperatrice (III) che reca in una mano uno scettro e nell’altra l’aquila del potere. Ella stessa è alata, sul capo una corona e la testa circondata da un’aureola con dodici stelle; un fiore bianco sboccia al suo fianco, per ricordare che l’intelletto non può crogiolarsi passivamente nel turbine delle associazioni mentali che succhiano le energie vitali, ma attraverso il pensiero attivo, far risvegliare il lume dell’intuizione e della conoscenza analogica. Proseguendo per questa via, dentro di noi prende forma l’Imperatore (IV): egli è seduto su un trono cubico, con i piedi ben fissi sul terreno, in mano uno scettro egizio e nell’altro la sfera sormontata dalla croce; sull’armatura il sole e la luna. Tale corrispondenza ci ricorda come la via incominci e termini nello stesso punto. Il corpo è lo strumento a nostra disposizione e noi possiamo esserne vittima o padroni. Colui che impera è seduto sul quadrato dei quattro elementi e dunque, conosce la natura materiale, non ne è schiavo, ma è assiso su di essa, poiché è il re del mondo e governa la propria natura fisica con saggezza, senza soggiogarla e, al contempo, senza subirla. Arriviamo alla carta del Papa (V): eccolo, con la sua tunica color porpora e la tiara d’oro sul capo. Egli è il grande maestro interiore che alberga dentro colui che cerca se stesso. Davanti al sommo sacerdote sono raffigurati due fedeli, che indicano uno la fede passiva e l’altro l’eterodossia del dubbio corrosivo. Essi, però, devono riconoscere la superiore legge del Papa, poiché bianco e nero non sono che lati speculari della totalità e soltanto colui che sta nel centro è equidistante, non vittima della cecità del dogma e neppure figlio della ribellione contro-spirituale, ma principio equilibratore, fonte di pace e di silenzio, quel silenzio interiore che accompagna il cammino. La VI carta dei Tarocchi è quella dell’Innamorato. Giovane di bell’aspetto, è attorniato da due donne: l’una tenta di trascinarlo con sé verso il vizio; l’altra, dall’aspetto regale, si limita a poggiare una mano sulla sua spalla e indica la virtù. Per diventare un uomo vero, egli dovrà riconoscere come il proprio scopo debba essere quello – come dice un Rituale massonico - di elevare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio. Il ricercatore, infatti, ad un certo punto del proprio viaggio interiore, è costretto a fare una scelta: può lasciar perdere, abbandonandosi ad una vita meccanica in cui non vi è coscienza né volontà; una vita passiva, contraddistinta dal vorticoso alternarsi degli io che albergano in noi, ciascuno dei quali, mosso per mera reazione agli accadimenti esterni, in balia degli elementi e preso dalla frenesia assassina del divenire; può, al contrario, sentire la propria nullità e mettersi consapevolmente al lavoro per tentare una relazione con sé stesso e riacquistare la dignità che il proprio scopo comporta. Se persevera, oltrepasserà le sette porte della sapienza e potrà salire sul Carro (VII) del trionfo. Trascinato da due sfingi, una bianca e una nera, il Carro è sormontato da un baldacchino alla cui sommità vi è un cielo stellato: l’iniziato ha conquistato padronanza di sé ed ora può trasmettere l’Arte poiché è maestro venerabile, ma la volontà e la coscienza non si sono ancora pienamente fissate in lui e il Carro trionfale potrà pur sempre essere trascinato dalle sfingi in questa o in quella direzione non desiderata. Per questa ragione, è necessario cristallizzare i risultati fin qui ottenuti in un centro di gravità permanente, fino ad udire la voce del padrone – il sé –, la cui lingua è compresa anche dal cocchiere, l’intelletto, e consente a questi di farsi obbedire dalle due sfingi, le emozioni, per condurre, infine, il carro, il corpo, nella direzione voluta. Chi cerca viene privato dalle illusioni e arranca, poiché non è in grado di vivere sulla terra senza di esse. Se vi riesce avrà riconosciuto una legge interiore, poiché avrà sentito la presenza di un ordine dentro di sé. Ecco la Giustizia (VIII) che ristabilisce l’equilibrio. Nel silenzio è possibile sentire una vibrazione di un altro livello: lontani dal frastuono e dalla distrazione, occorre cingersi di un mantello che isoli dal chiasso dei molteplici io caotici e faccia riscoprire il gusto per la solitudine. L’iniziato sarà allora come l’Eremita (IX), il cui bastone, sul quale si avviluppa il serpente della mobilità, altro non è se non il Caduceo ermetico (percorso interiore). Il manto da cui è coperto ricorda il grembiule indossato dal Massone per proteggersi dalle schegge durante il lavoro di levigazione della Pietra del sé, che da grezza deve diventare cubica, e corrisponde al nero mantello del Superiore Incognito del Martinismo che, ad un certo livello di comprensione, si isola interiormente dalla realtà profana, essendo come i mistici gnostici nel mondo ma non del mondo. Chi prosegue il proprio cammino vede come la vita ordinaria sia costellata dall’alternarsi di entusiasmo e depressione, esattamente come le stagioni, contraddistinte da solstizi ed equinozi, in un eterno ritorno espresso dalla Ruota della fortuna (X) che, però, è solo l’ombra del qui ed ora, in cui tutto ciò che accade è il presente. In esso non vi sono alternanze, c’è solo l’essere immobile che vede, allo stesso modo della sfinge impressa su questa carta, e resta fermo nella pienezza della raggiunta pace. L’XI carta è la Forza: con sguardo distaccato, una donna chiude le fauci di un feroce leone, senza opporre ad esso un’energia brutale, ma imponendo il proprio volere con la dignità di chi conosce bene l’animalità della bestia. Il corpo, infatti, non deve essere soggiogato con violenza, ma addomesticato, poiché non è un nemico, ma un fedele alleato. Per questo, l’intelletto deve conoscere il linguaggio del fisico e delle emozioni, per parlar loro con autorità ma senza tentare di imporre ciecamente le proprie decisioni. Soltanto colui che può sacrificare tutto può fare tutto: è questo l’insegnamento dell’Appeso (XII), l’impiccato che indica l’uomo che ha visto la verità. Per lui, la vera vita è capovolta rispetto a quella illusoria e vegetativa della propria meccanicità. Chi riesce a rinunciarvi potrà ottenere grandi conquiste. Solo chi non è più incatenato alla propria immagine, alle proprie certezze, alla propria personalità, potrà riconoscere in sé l’essenza. Solo chi non è schiavo può essere libero. Per rinascere ad una nuova condizione occorre prima morire. La Morte (XIII), però, è una conquista non facile, ma indispensabile per nascere nudi di fronte a sé stessi, senza il proprio fagotto pieno di cose inutili accumulate nella vita inconsapevole. La prima operazione dell’Alchimia è la Nigredo, la cosiddetta Opera al nero che si compie soltanto quando la materia (l’uomo) si decompone, divenendo nera come la pece: andando dentro sé stessi, nelle zone più profonde, quelle più intime, si potrà morire a questa vita e, abbandonando il proprio modo abituale di pensare e di vivere, si potrà risorgere, come la fenice, dalle fiamme che bruciano nel forno in cui la materia grossolana è destinata a trasformarsi in aurea. La morte è, perciò, la prima meta di un lungo percorso iniziatico, attraverso il quale, sciogliendo i legacci di una vita vissuta male, il ricercatore diviene indulgente con la propria condizione, rappresentata ora dalla Temperanza (XIV), grazie alla quale emerge la virtù, la moderazione e l’equidistanza da ogni cosa. Essa è raffigurata con due ali bianche, come angelo rappresenta il Tempo; sulla sua fronte c’è il cerchio. Questo è il segno dell’eternità, il segno della vita. Solo dissolvendo il volatile e volatilizzando il fisso si potrà scorgere il tesoro che nasce dal metallo volgare. È l’insegnamento della XV carta, il Diavolo. Raffigurato con la mostruosa testa di capro del Baphomet templare, con il corpo da donna e le ali da pipistrello, tale simbolo esprime l’esistenza materiale, la corporeità, la terra madre, la propria fisicità, che non va rifuggita e distrutta, ma che è il veicolo per l’evoluzione interiore, il lasciapassare per il Cielo. Il Diavolo è la porta per ottenere il Paradiso, perché l’Iniziato, vivendo appieno il proprio corpo, sentendolo senza subirlo passivamente, ne diviene il padrone e può condurlo dove vuole. Questo è, perciò, uno strumento prezioso a disposizione degli esseri umani, che possono farne un uso fruttuoso o, al contrario, condurlo alla rovina. Nel primo caso, diverrà la materia in cui si condensano le energie superiori, mentre nel secondo, il risultato sarà la propria autodistruzione e la disperazione. Chi spera di ottenere risultati senza un vero lavoro su di sé, prima o poi dovrà fare i conti con la realtà; le proprie illusorie pretese conquiste interiori cadranno come colpite da una saetta, allo stesso modo della Torre (XVI): non si può mentire a sé stessi, perché la natura odia l’inganno e l’uomo non può sottrarsi alle sue leggi. Chi sente la necessità di ritrovarsi, infatti, non può fremere d’impeto, ma lavora pazientemente, perché lo scopo è quello di tornare alla propria condizione primigenia, in armonia con il Raggio di Creazione, che racchiude in sé le sacre leggi del cosmo, comprensibili attraverso le Stelle (XVII). È qui, nel buio, che i costruttori del Tempio, rimasti orfani, scorgono un ramo d’acacia, simbolo della presenza della tomba del maestro Hiram: dopo la sua uccisione, la Fiamma della Tradizione sembrava essersi spenta e la parola perduta; le spoglie del Maestro finalmente ritrovate indicano che la catena non si è spezzata e che gli operai possono nuovamente udire la parola sacra, riannodando, così, l’invisibile filo della corda fraterna. La notte, però, è illuminata da una pallida luce d’argento, quella della Luna (XVIII), a causa della quale i colori della realtà sono deformati. Bisogna dunque rifuggire dalle teorie erronee e riconoscere che il lavoro su di sé non è ancora terminato: ci si trova nella fase alchemica dell’Opera al bianco, la cosiddetta Albedo, in cui la materia (l’uomo) è quasi giunta al proprio scopo, ma non ancora del tutto. Dopo la notte lunare, il Sole (XIX), comunque, risorge sempre e la sua aurea luce spazza via i tetri colori notturni: la Grande Opera si compie. Ecco la Rubedo, l’Opera al Rosso, grazie alla quale il fanciullo viene incoronato Re e il piombo si trasmuta in Oro. L’essere umano, una volta in preda a forze contrapposte, ha ora trovato, nell’armonia dei due, la sua vera natura, in cui uomo e donna sono Uno. Padre, madre e figlio (intelletto, emozioni e corpo) parlano adesso un’unica lingua e attendono liberi che si compia il Giudizio (XX) finale, poiché vita e morte non hanno più potere. La realtà quotidiana assume allora un nuovo significato. Il Mondo (XXI) appare così com’è, racchiuso dalla ghirlanda del tempo ciclico che ritorna all’origine, contraddistinto dai quattro elementi, ma non fa più paura, perché il ricercatore ha sperimentato direttamente la via. Il triangolo adesso è tracciato dentro di sé, perché in colui che ha preso coscienza della propria nullità si è cristallizzata l’influenza spirituale. Egli ora è parte del tutto, dell’assoluto ed è come il Matto, carta che non è indicata da alcun numero ed è quindi equivalente allo zero. Lo zero metafisico è l’Ain Soph della tradizione ebraica, che è al di là del cosciente e del razionale, l’assoluto che avvolge il relativo, antenato degli dei e degli uomini, oltre il bene e il male. La condizione finale è quella dell’individuo assoluto, colui che unisce il Divino (arcani maggiori) con la realtà fenomenica (arcani minori), figlio del Padre e al tempo stesso madre di questo mondo, nel quale il tutto è uno e l’uno è tutto.
Alberto Samonà

11 settembre 2010

- CABALA E TEORIA DELLA RELATIVITA'


“Il mondo è stato creato con delle frasi, composte di parole, formate da lettere. Dietro queste ultime sono nascosti numeri, rappresentazione di una struttura, di una costruzione ove appaiono senza dubbio degli altri mondi ed io voglio analizzarli e capirli, perché l’importante non è questo e quel fenomeno, ma il nucleo, la vera essenza dell’universo”.
Albert Einstein

Accingendosi allo studio della Cabala, l'uomo di volontà, o come direbbero i filosofi francesi, uomini di Desiderio, imparano ( per quanto è nelle loro possibilità ) ad avvicinarsi a Dio, a comprendere le enormi sfaccettature di ogni singola espressione, pensiero e lettera.
A questo enorme bagaglio di sapienza mistica, accumulato sin dai Patriarchi e dai Profeti, ci si rende conto che si è di fronte ad un enorme biblioteca di analogie e corrispondenze che non hanno a che fare solo con il nostro vivere quotidiano, ma corrispondenze con il tutto quello che ci circonda, che sia un albero, che sia un segno zodiacale, che sia l'universo intero. Un patrimonio immenso largamente accettato nel passato, caduto poi nell'oblio circa 2 secoli fa, con il razionalismo, l'illuminismo e non per ultimo un sempre crescente pragmantismo del primo 800 industriale. Finalmente con l'avvento della tecnologia e la costruzione di enormi macchine di calcolo si è riusciti a giungere a quelle “verità” già ampiamente concettualizzate centinaia di anni prima.
Cosa intendiamo però quando parliamo di corrispondenze e analogie?
Meglio di qualsiasi altro commento, la definizione per eccellenza si trova nella Tavola Smeraldina scritta da Ermete Trismegisto. La sua seconda enunciazione dice: Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola. Sicuramente questa è la proposizione più famose delle 10 scritte da Ermete. Essa ha ispirato il concetto della corrispondenza e dell'analogia. È il miracolo dell'unità e per ottenerlo, bisogna che tutto quello che è in alto è uguale a quello che è in basso. Esse vogliono far capire che ovunque nell'universo sopra e sotto, in cielo e in terra , dentro e fuori, nel macrocosmo come nel microcosmo, a ogni livello di manifestazione, regnano incondizionatamente le medesime leggi. Ma cosa vuol dire questo? Prima di passare alle analogie di interesse ebraico, vorrei accennare alcuni esempi di analogie tra uomo e cosmo intesi come ritmi fisiologici. Il nostro corpo come quelli di tutti gli organismi viventi di questa terra, sono regolati da ritmi biologici interni ed esterni di varia natura, ivi compreso quello astronomico. Se analizziamo alcuni ritmi umani, troveremo una straordinaria corrispondenza con i ritmi cosmici. Nell'atto ritmico per eccellenza, quello respirativo e cardiaco, troviamo che il corpo umano, impiega una media di 3,33 secondi per ogni ciclo respiratorio, che moltiplicate nelle 24 ore diventano circa 26.000 respiri. 26.000 è l'anno Platonico, o più comunemente Precessione degli Equinozi ed usato anche in astrologia, per calcolare il passaggio da una costellazione dello zodiaco a un altra in senso retrogrado. Se dividiamo poi 26000 per 360 troviamo il risultato è 72 anni, che è considerata la vita media di un uomo. Se poi calcoliamo quanti giorni ci sono in 72 anni, troveremo 26000, di conseguenza possiamo affermare che noi viviamo in media per 1 anno cosmico. Passando poi ai ritmi cardiaci, noteremo che se in un minuto noi respiriamo circa 18 volte, le nostre pulsazioni cardiache sono di 72 battiti, cioè 18 respiri sono la quarta parte di 72. Quindi, se 72 sono gli anni e 18 è la quarta parte, le corrispondenze con il cosmo sono ancora più interessanti. 18 anni è il tempo necessario perché la luna torni ad occupare rispetto alle stelle fisse la stessa posizione in cui era apparsa 18 anni prima: esso indica il percorso celeste della Luna ed in esso possiamo vedere una sorta di respiro del macrocosmo. Anche l'asse terrestre oscilla, mentre descrive un doppio cono, con la stessa periodicità. Oggi non si parla più, quindi, di un'influenza esercitata dai pianeti, ma di corrispondenza, correlazione, consonanza, sintonia.
ANALOGIE “SEMPLICI”
Le analogie tra scienza e Cabala partono da principi semplici, come le corrispondenze tra numero lettera e cosmo per poi arrivare a concetti sempre più spinti come il campo unificato! Ma attenzione per spinti non intendo una forzatura degli esempi, perchè se vogliamo tutto, può con un po’ di fantasia può entrare a far parte della sfera delle analogie. In Cabala NULLA è forzato, le corrispondenze, a una mente sufficientemente preparata, saltano immediatamente agli occhi. A questo punto, mi è sembrato logico, per una questione di chiarezza, (personale) dividere la Cabala in 2 tipi di corrispondenze, Semplici e Complesse ma questo non vuol dire che la complessità o l'importanza del 3,14 sia minore dei Campi Unificati. 72 è la somma numerica del Tetragramma: Yod + Hei + Vav + Hei 10 + 15 + 21 + 26 = 72. 72 Sono I nomi di Dio, estratti dai 3 versetti di 72 lettere ciascuna (inutile dire che l'unico caso della Torah). Il numero 72 ha anche (come già presentato precedentemente) corrispondenze cosmiche: 72 è il movimento in 1 anno, di un singolo grado zodiacale nella quale una volta completato corrisponde a 25.920 cioè 72x360 = 25.920. 72 è considerato anche la vita media di un uomo, come scritto nel salmo 90 il che porta a circa 26.000 giorni di vita. Anche 26.000 è molto importante, in quanto risalta il numero 26, cioè la somma numerica del Tetragramma.
È risaputo che 3,14 , che indichiamo con il Pi greco, non é che l’inizio di un numero che non ha fine ed anche dopo aver calcolato il primo milione di cifre dopo la virgola, bisogna continuare a calcolare le seguenti per conoscerle, in quanto non hanno alcuna periodicità. I matematici definiscono Pi greco come numero trascendente. Un numero è trascendente quando esso non è una radice di un’equazione algebrica a coefficienti interi: il Pi greco è trascendente, infinito e non periodico. Trascendente ed infinito sono due degli attributi che si applicano a Dio, quindi il fatto che sia infinito vuol dire che il Pi greco indica anche l'infinitivo Dio. Il Tetragramma HEI VAV HEI YOD ha come valore numerico 26; prendiamo, quindi, le prime 26 cifre del Pi greco: 31415926535897932384626433. Troviamo il numero 26 per 2 volte alla distanza di 13 cifre, corrispondenti ai tredici attributi della fede ebraica. 28 Questo numero è associato più alla Bet, la prima lettera della Torah, “IN PRINCIPIO”, ma essa contiene anche la Resh, che vuol dire testa. Nella prima frase - Bereshit bara Eloim et ashamaim vet harets – il versetto si compone di 7 frasi e il numero totale delle lettere è 28, a indicare la durata del mese lunare, fondamentale la sua conoscenza per il regolare svolgimento liturgico. 288 E' un numero di grandissima importanza, sia per la scienza che per la Cabala. Quando parliamo del numero 288, parliamo essenzialmente di Luria e delle sue 288 scintille di santità, ma non solo. Ma procediamo con ordine, in quanto questo tema credo sia molto importante. Isaac ben Solomon Luria Gerusalemme 1534, è considerato il più grande studioso della del pensiero mistico ebraico. Dobbiamo tener presente che prima della scuola di Safed, le scuole cabalistiche spagnole quelle del primo periodo, tanto per intederci quella del Sefer Ha-Bair o Sefer Zoar, erano scuole più archeologiche, cioè erano in fuga verso le origini verso la genesi verso la redenzione dell'individuo, e risultavano così in fuga anche dalla realtà. Essi non riuscivano a dare risposte ai problemi dell'oggi, del momento, presente. Dopo il 1492, dopo cioè la penosa cacciata degli ebrei dalla Spagna, tutto acquista una luce diametralmente diversa portando la ricerca cabalistica su un piano completamente diverso, non più archeologia dei mondi quindi ma diciamo la sua escatologia, la loro fine e la loro redenzione. Il successo immediato della cabala di Luria è da attribuirsi al fatto che egli da risposte anche ai problemi dell'esistenza umana. Il pensiero più straordinario e complesso che la mente umana ha prodotto è proprio merito di Luria con la sua teoria storia filosofica del cosmo. Possiamo dividere I suoi concetti in 3 momenti fondamentali: lo Tzimtzum, le Shevirah, e il Tiqqun. Inoltre la straordinarietà della teoria Luriana, stà nel fatto che oggi, con le nuove teorie della fisica e la scoperta di nuove frontiere matematiche, possiamo classificare il suo insegnamento come valido anche a livello scientifico. – Tzimtzum Significa ritirarsi esso fa parte del primo atto della Creazione, Il Creatore, non si rivelò ma piuttosto si contrasse in se stesso per “lasciare lo spazio necessario” al mondo futuro. La contrazione avvenne nel cuore della luce di En Sof, e lo spazio lasciato, era solo un punto piccolissimo, ma rispetto alla Creazione esso era tutto lo spazio del cosmo. – Shevirah E' la seconda tappa della Creazione, la Rottura dei Vasi dopo la contrazione. La luce che si irradia, entra nello spazio vuoto, ma sempre in linea retta ed essa viene chiamata Adam Qadmon (l'uomo primordiale). L'emanazione della luce in principio fu equilibrato, successivamente però furono proprio gli occhi dell'uomo primordiale a irradiare questa luce. Essa fu talmente forte che il loro contenitori, (dei vasi) non riuscirono a contenerli e si ruppero, facendo cadere una parte delle scintille di santità (288) verso il basso, mentre la maggior parte delle scintille ritornarono alla sorgente. La teoria della rottura produce un cambiamento in un mondo stabile e praticamente perfetto. Da ora in avanti tutto diventa imperfetto e instabile. Scopo di tutto questo è riprendere queste scintille di santità che altrimenti alimenterebbero le Klippot, I gusci negativi che rivestono le Sefirot. – Tiqqun E' il terzo passo del cammino, la riparazione chiamata anche reintegrazione, la rottura dei contenitori equivale a un'imperfezione, e questa deve ritornare in qualche modo nella sua natura originale, gravoso compito che spetta all'uomo. Anche se Dio ha già incominciato la riparazione, esso non potrà portarla a termine, in quanto spetta all'uomo l'atto decisivo. A grandissime linee, questo è il concetto, anche perchè I concetti luriani si sviluppano in migliaia di pagine. Premesso che i concetti di Tzimtzum, Shevirah e Tiqqun, verranno analizzati successivamente nel capito delle analogie complesse, cerchiamo di capire invece quale relazione esiste tra le 288 scintille di santità e la scienza. Nel 1963 Maria Goeppert Mayer, ricevette il premio Nobel per il modello del guscio del nucleo atomico dimostrando che la materia è tenuta insieme grazie gruppi di neutroni, definiti STABILI. I numeri di neutroni che sono per eccellenza stabili vengono quindi chiamati numeri magici e sono I seguenti: 2 8 20 28 50 82 126 i nuclei con numerazione ad esempio 40 vengono chiamati meno stabili, mentre se non appartengono a nessuno dei 2 casi sopra citati, essi vengono classificati come instabili. Sommando I 7 numeri magici ma escludendo però il 28, la loro somma è di 288. Se usiamo anche il 28 la somma sarebbe di 316 e questo vanificherebbe ogni corrispondenza, MA se analizziamo la sua posizione, noteremo che essa è perfettamente in centro come l'ago di una bilancia, e non a caso la somma di 28 è = a 10 Keter la via Regale, quindi noi abbiamo Il pilastro di sinistra ( 2, 8, 20 KETER 50, 82, 126). Non ho ancora le conoscenze sufficienti per poter analizzare anche gli altri numeri in relazione all'Albero, ma credo che qualche cosa di interessante potrebbe venire fuori. Comunque sia, qualche analogia è saltata fuori ugualmente nella mia ricerca e ora Nadav, cercherò di spiegartela il meglio che posso. Visto che parliamo di atomi di stabilità e di vibrazioni, ho provato a tenere la stessa numerazione (288) cambiando il metro di misurazione. L'ho infatti trasformato in Hertz. Ho cercato successivamente su internet quali relazioni esistevano con 288 HZ e ho trovato 3 interessanti analogie: 1. 288, sono le frequenze dell'orbita di marte il pianeta della forza, della guerra e della virilità sessuale. 2. 288 hz, vibrazioni del 1° chakra legate anche qui alla sfera più primitiva, sessuale , il bisogno della soddisfazione materiale e sicurezza personale, essa rappresenta la terra come elemento (Malkut) 3. 288 thz nello spettro dei colori è una frequenza che noi NON possiamo avvertire, in quanto la nostra vista parte da 400 a 800 thz circa. Quindi da questa analisi posso dedurre che le teorie di Luria sulle scintille di santità che si sono perdute e sono morte per la nostra immaturità ovviamente non potrebbero altro che essere vere, in più, possiamo affermare che il 288 dimostra come abbiamo vissuto (per la maggior parte della storia umana) di istinti primordiali, violenti, legati alla sessualità più primitiva ed a un'insana ricerca delle sicurezze materiali, oltre al fatto che per la maggior parte di noi, il più delle volte è cieca davanti alla bellezza di Dio. Si può anche affermare che l'era dell'Aquario ci cambierà radicalmente, pur essendo noi in questo momento in una posizione di privilegio, in quanto solo avendo I piedi in Malkut, abbiamo la possibilità di slanciarci con sicurezza verso l'alto. 28 e 288 Interessante notare come il 28 riguardi nel macrocosmo la rivoluzione lunare mentre il 288 microcosmo, riguarda le particelle atomiche, essi hanno una cosa importante in comune, creare la STABILITA' nel pianeta terra, Per il 28, senza la luna il pianeta terra incomincerebbe ad oscillare in maniera incontrollata, producendo cambi di stagione repentini e molto violenti, e il 288 invece crea la STABILITA' nella materia e tutti e 2 lo creano girando intorno a una massa molto più grande di loro. E con quest'ultimo esempio finisce prima parte della tesina, è ovvio che di questo genere di analogie ne esistono una quantità considerevole, io ho solo fatto degli esempi che mettessero in relazione I numeri di ispirazione cabalistica con la scienza.
ANALOGIE “COMPLESSE”
Con le analogie complesse, entriamo in un campo di studi che proprio a cavallo del XX secolo ha completamente riscritto tutta la conoscenza che l'uomo possedeva della natura e della matematica, disegnando un nuovi quadri con nuovi pennelli e nuovi colori. È qui importante dare un sintetico prospetto generale su quello che accadde a partire da 130 anni fa circa, e dell'ambiente accademico che ha preceduto il lavoro di Einstein. Einstein nasce nel 1879 nel periodo più fecondo per le scoperte della fisica e sviluppo della scienza, al punto che non si possono semplicemente classificare come “nuove scoperte” MA rivoluzioni. A cavallo tra 800 e il 900 ci furono anche progressi non solo per la fisica sperimentale ma anche in quella teorica. In questo periodo furono infatti scoperti i raggi x da WILHELM KONRAD VON ROENTGEN che aprí la strada, attraverso le ricerche di HENRI BECQUEREL (che colpendo con raggi catodici vari materiali s'avvide che un sale di uranio emetteva radiazioni inclassificabili), alla scoperta della «radioattività», compiuta da PIERRE e MARIE CURIE ; e alla scoperta dell'«elettrone» come elemento-base dell'elettricità, compiuta da JOSEPH JOHN THOMSON (attraverso lo studio del fatto da lui osservato che un gas, attraversato da «raggi x», diventa conduttore di elettricità). In questo periodo si verificarono pure le scoperte della «teoria dei quanti», da parte di Max Planck, e della «teoria della relatività», ad opera di Albert Einstein. Scoperte «teoriche», queste, ma non nate per pura «astrazione», bensí da elaborazioni avvenute sulla base di indagini sperimentali. E infatti, la teoria della relatività, nacque da certe indicazioni offerte proprio dalla fisica sperimentale. Come precedentemente accennato, la teoria della relatività è stata soltanto l'ultima di una serie di sconvolgimenti scientifici, anche se questa fu decisamente la più importante. Questo lavoro inoltre non fu destinato a rimanere isolato, bensì aprì le porte ad teorie di altri fisici che portarono alla nascita della teoria dei quanti con la “costante di Plank”, le spiegazioni sui buchi neri, la ricerca di un equazione unificata, le teorie sulle super corde e così via. Alcune di queste teorie però, furono incredibilmente affrontate a loro volta da mistici ebrei come Luria o Ba'al Shem Tov, dai 200 ai 500 anni fa, oltre che a trovarli direttamente nella Torah. Si, proprio loro, gli ebrei, nella storia essi hanno dominato tutto il pensiero scientifico speculativo, operativo e artistico, e non ci stupisce il fatto della grande quantità ebrei contemporanei tra scienziati e fisici. Non dimentichiamo che il ruolo del Messia, sarà quello di riconciliare il pensiero scientifico e religioso, e chi meglio di un ebreo può farlo essendo così eclettico? Mai come ora c'è bisogno di uomini con un'apertura mentale a 360 gradi, in quanto le risposte che stanno venendo fuori da esperimenti pratici, ad opera per esempio del CERN e altre organizzazioni, non hanno nulla a che vedere con la fisica tradizionale a cui siamo abituati a convivere, ( dalle scoperte di Newton in avanti ). I paradossi, sono queste le vere constati della nuova fisica: uno dei paradossi più famosi sta anche nel principio di indeterminazione di Eisenberg in quanto ammette che è impossibile definire le caratteristiche della realtà soltanto tramite il misurarla, e il solo fatto di accingersi a questo, influenza irrimediabilmente la realtà. Il cabalista potrebbe essere uno degli studiosi più accreditati per questo genere di nuova scienza, in quanto la cabala imposta tutto il suo pensiero sull'accettare I paradossi, quindi uno scienziato cabalista, accettando I paradossi crea quel passaggio tra Binà a Chakmà. Inoltre leggendo attraverso le righe della saggezza ebraica possiamo notare che di quelle verità scientifiche (di cui l'uomo moderno è tanto orgoglioso perchè a detta loro sono il risultato di un progresso unico nella storia dell'umanità), esse erano già di loro conoscenza migliaia di anni fa. Un esempio lo abbiamo anche con il concetto di “campo”: per la fisica è la capacità delle particelle di essere sempre unite tra loro. Anche se noi ovviamente non lo avvertiamo, le particelle (cioè noi stessi) compaiono e scompaiono milioni di volte nel giro di pochi istanti. Il concetto di campo è ben noto In cabala, la parola che la identifica è SADEH, la cui radice significa forza, possanza, la SHIN è la lettera di riferimento per questa analisi, in quanto rappresenta il campo elettromagnetico. Per il Sefer Yetzirà, la Shin è la lettera del fuoco la cui luce e calore sono le manifestazioni più comuni del campo elettromagnetico. Notiamo anche che la Shin ha 3 braccia verso l'alto, è la lettera più simmetrica proprio come il campo elettromagnetico ed essa era presente nello stato iniziale dove tutte e 4 le forze erano riunite, questo perchè il suo valore numerico è 300 che vuol dire Lo Spiritio di Dio. In poche parole essa è la lettera dell'energia cosmica e la sua realizzazione stà proprio nell'entrare nelle 4 dimensioni del mondo fisico. La Dalet rappresenta il quaternario, ma a che cosa ci riferiamo quando parliamo di 4? 4, una volta rappresentava la terra, acqua, aria, e fuoco, oggi le classificheremmo in solido, liquido, aria e fuoco. Inoltre, sommando I numeri atomici dell'idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno otteniamo il numero 22, analoghe all'alfabeto ebraico. 4 è anche considerato come: spazio, tempo, energia, e materia e come tutte le manifestazioni in quaternario, possono essere messe in relazione con il nome Divino, il Tetragramma. Un altro fenomeno che va fuori dal nostro concetto di spazio è la scoperta che la materia è composta quasi completamente dal vuoto, e questo concetto è un punto importantissimo della cabala in quanto tutto il creato è appoggiato su AIN = NULLA. Ecco che entrano in gioco I concetti di Luria, in quanto il Nulla è una parte del Creatore nascosta durante la Restrizione Tzimtzum cioè è quel paradosso che pur essendo “nulla”, proprio quel nulla mantiene e sostiene tutta la realtà.
La teoria della relatività, si basa sui concetti di spazio e di tempo e dimostra indiscutibilmente come essi siano inscindibili tra loro. La Cabala da parte sua ha già affrontato questo problema a partire dal Sefer Yetzirà con I concetti di “anno, mondo, e anima” rispettivamente del tempo, dello spazio e di quella parte unificatrice, la consapevolezza. Successivamente venne ripreso questo concetto con la seguente teoria: lo spazio e il tempo presero il loro posto nella natura dopo lo Tzimtzum, dopo aver svuotato gran parte della Luce Infinita unica sua esistenza. Lo spazio lasciato vuoto è la sua prima esistenza di spazio, mentre la discesa della luce, che portava con se le basi della Creazione divenne il tempo. Einstein, teorizzò che la luce è una costante immutabile nel tempo, ed è una delle teorie che governano l'intero universo, inoltre ipotizza che il tempo sia circolare e non solo rettilineo, e questo è valido anche su scala cosmica. Per dare una spiegazione alle sue equazioni, si è ipotizzato che il tempo ritorna su se stesso. Quando parliamo di luce, è interessante notare come la lettera C a indicare la luce sia parente della lettera ebraica Kaf che è una C al contrario ed è anche la lettera della parola Keter, la Corona di luce, la Sefirot più alta dell'Albero, per non parlare poi del tempo, in quanto nella Torah si afferma che nel tempo esistono dei cicli, come quelli naturali o come lo Shabbat o lo Shmità, e così discorrendo. Oltre al tempo, anche lo spazio è rotondo: la teoria afferma che andando sempre diritto, si ritorni al punto di partenza, la retta quindi è in realtà un cerchio che per logica diventa infinito. Come già affermato prima, la famosa equazione E=MC2, ha aperto la strada ad altre teorie scientifiche e ovviamente ad altri paradossi fisici. Anche in questo caso però la Cabala, ha affrontato gli argomenti più vari: quando gli scienziati parlano di materia e antimateria, la Cabala afferma: Dio ha fatto questo e l'opposto di quello. Uno dei paradossi più evidenti nella fisica, lo abbiamo appunto con l'antimateria. Una particella di antimateria può viaggiare ad esempio dal futuro al passato. Se si scontrano 2 particelle di materia e antimateria, si annullano reciprocamente emettendo un fotone, cioè luce. Certo è che questi esempi vanno ben oltre la nostra più sfrenata immaginazione, ma come dissi prima, noi siamo I figli di Newton ed a certe leggi fisiche non riusciamo ancora a staccarci. Paradossi li troviamo anche nella teoria dei quanti e nella costanti di Plank, mentre nel macro, troviamo la luce ( c ) nel micro lo abbiamo con la costante di Plank ( h ), quindi il ruolo della particelle all'intero dell'atomo. Secondo Plank, gli elettroni intorno a un protone neutrone non possono muoversi come vogliono e anche le proprie orbite rimangono bene delineate. Se però gli si imprime una forza tale da muoverlo in un'altra orbita, esso non si sposterà, ma si troverà all'improvviso sulla differente orbita senza toccare punti intermedi. Questo ci ha fatto dedurre che il tratto intermedio viene attraversato istantaneamente, scomparendo e riapparendo nella nuova orbita come se fosse uscito dal nostro universo conosciuto per poi riapparire successivamente. I paradossi che incontriamo in C e H. sono tra I più difficili da accettare per l'esser umano, ma è oramai chiaro che per la legge quantica, ogni movimento non è una progressione da A verso B ma dei balzi in avanti o indietro quindi non esistono punti intermedi. Di questi “balzi”, la Torah ne ha un esempio clamoroso: l'uscita di Israele dall'Egitto. Pesach, vuol dire “salto improvviso”, verso la libertà. La corrispondenza che più mi ha colpito però tra scienza e Cabala è la costante di Plank e Luria: secondo Plank, un movimento rettilineo potrebbe essere possibile SOLO se la costante fosse uguale a zero. Però per quanto noi ci avviciniamo allo zero, esso sarà sempre qualcosa di più di zero. Questo fenomeno conferma la teoria di Luria e dello Tzimtzum, quando afferma il ritrarsi dell'ìnfinito, il ritirarsi della Luce Infinita, non è stato totale, quindi in Ain cioè nel microcosmo, è rimasto lo Reshimò proprio come nella costante di Plank Come accennato prima, il quaternario, in natura è particolarmente adatto alla similitudine con il Tetragramma. Quando parliamo di fisica quantica, il quaternario che si unisce così bene al Tetragramma, sono le 4 forze che sostengono l'universo intero: gravità, interazione debole, elettromagnetismo, interazione forte, così distribuiti con la YUD, HEY, VAV, HEY.
YUD alla lettera Yud, la lettera più piccola dell'Alef Beit oltre che ad essere la prima del Tetragramma, viene associata la gravità. Essa è la forza più debole, ma è una delle più importanti. Su scala cosmica e su stelle di grandi dimensioni (ricordo qui che il nostro sole non è che una stella di media piccola dimensione) la gravità è talmente influente da far curvare su se stesse lo spazio e il tempo. Sempre per la teoria di Einstein, più il pianeta o stella è grossa più il piano elastico su cui si poggia si “curva” deformando lo spazio tempo, in poche parole, maggiore e la massa maggiore sarà la curvatura spazio tempo intorno ad esso quindi maggiore sarà la sua gravità.
HEY Questa lettera la troviamo 2 volte nel Tetragramma, quindi corrisponde a 2 livelli diversi. La prima lettera è l'interazione debole, quella che in fisica le attribuisce il decadimento dei nuclei atomici e dei neutroni liberi, e la sua energia copre distanze molto vaste.
VAV Rappresenta l'elettromagnetismo e regola la “trasmissione” (normale per la Vav) della Luce
HEY La seconda Hey è l'interazione forte, quella che si libera durante la fusione o scissione nucleare, la sua azione è quindi concentrata in un campo molto limitato (10 alla -13). Unificare queste 4 forze, significa trovare I fondamenti della natura e per esteso anche alla ricerca del nome di Dio. Proprio in questi giorni il Cern ha tenuto a battesimo il suo primo esperimento per la ricerca della, (chiamata dai fisici stessi) “particella di Dio”, e questo ci da l'idea nel campo in cui stanno operando, quella dell'infinitamente piccolo, ma anche della nuova considerazione che I fisici hanno nei confronti di Dio. 137 CBL Il numero universale E' forse uno dei numeri più interessanti della biblioteca delle corrispondenze tra scienza e cabala. Questo numero è tutt'ora alla base di considerazioni profonde da parte di fisici e scienziati di tutto il mondo. Uno dei più famosi studiosi di questo numero è Leon Lederman, egli più volte discute questo numero dando le teorie più disparate ma che a noi miseri mortali vuol dire poco nulla. Per I fisici, invece queste sono talmente serie e importanti al punto che, Heisemberg teorizzatore del Principio di Indeterminazione, affermò che solo dopo aver risolto il rompicapo del numero 137, si sarebbero risolti I problemi della meccanica quantistica. Il 137 è un numero unico in molti suoi aspetti: esso viene considerato come numero puro (cioè non dipende dalle unità di misura utilizzate) ed è anche privo di dimensioni oltre a non avere I decimali. E in qualsiasi parte dell'universo si volesse usare una qualsiasi unità per la carica, velocità unita alla teoria di Plank, otterrebbero sempre il numero 137. In poche parole, il 137 è il rapporto tra velocità della luce e quella dell'elettrone, esso governa il legame tra materia e luce e il 137 si colloca proprio li in mezzo. Ovviamente anche I cabalisti hanno affrontato questo numero anche perchè 137 è la somma numerica della parola Cabala (Quf-Beit-Lamet-Hey), quindi essa si è assunta l'onere di trovare una spiegazione tra scienza e sapienza cabalsitica, in apparenza così diversi tra loro, ma poi non tanto. Il 137 è un numero primo e quindi è divisibile solamente per se stesso o per l'unità. In cabala, se sommiamo Il 137, otterremo il numero 11, che è l'undicesima Sefirot dell'Albero della Vita, Da'at. L'importanza di questa Sefirot è fondamentale, essa unifica sia le 3 Sefirot superiori che le 7 Sefirot inferiori. Da'at come si può intuire, unisce le 3 vie dell'Albero, e di conseguenza essa è la Sefirot che unisce il pensiero razionale e intuitivo, oltre che a quello sentimentale, Da'at inoltre conferma questa sua dualità anche dalla somma del suo numero: 11, 1+1 = 2 cioè la lettera Beit. Da'at inoltre, fu la Sefirot più colpita dagli errori umani, ma è proprio da qui, che troveremo lo spunto per la più importante rettificazione: ritornare allo stato primordiale di Adamo ed Eva. Questo perchè essendo l'undicesima Sefirot, rappresenta anche il segno dell'Acquario, il segno del Messia. Ritornando al numero 137, notiamo come questo numero rappresenti per intero l'Albero della Vita: 100 indica il livello di Keter, 3 le Sefirot superiori, e 7 le Sefirot inferiori.
Briah è il primo vero universo staccato da Dio, il posto dove non esiste solo la luce ma anche il buio. Briah, è chiamata Hyuli, “materia prima” più comunemente chiamata dagli alchimisti “etere” che è una materia purissima contenente insieme tutti e 4 gli elementi. Nulla è più puro di questa quintaessenza nei piani inferiori. Briah è l'inizio della vita, quella più pura, quella in cui si fonda tutto il cosmo. Interessante è questo genere di concezione in quanto a partire dalla legge della relatività di Einstein si sa che l'universo non è vuoto ma composto di particelle sub atomiche che riempirebbero la parte “vuota” dell'universo. Ed è qui che Briah nasce e vive, in questo primo e fondamentale germe della vita cosmica e non a caso Briah si chiama Creazione la PRIMA creazione mai esistita, cioè quella ipotizzata nel big bang quell'attimo prima dell'esplosione. In Briah, le anime nascono e vi dimorano prima di scendere nel nostro piano e considerando che gli angeli dimorano in Yetzirà, vuol dire che le nostre anime prima di “ispessirsi” e macchiarsi del peccato della carne, sono più pure degli angeli.
Ci troviamo in definitiva di fronte a un cambiamento epocale: teorie filosofiche-scientifiche pitagoriche e neopitagoriche, che per 2000 anni ne hanno fatto da padrona, ora si trovano completamente surclassati dalla “nuova fisica”. A detta di una frangia dei nuovi matematici, persino I primi principi aristotelici, subiscono una sconfitta clamorosa, in quanto ridisegnati dalla fisica quantistica che manda definitivamente in pensione la teoria della “Casualità”. La fisica in pratica per la prima volta “ridisegna” la filosofia. Non pensiamo che questo sia stato facile per carità, questo no, lo choc scientifico ad opera di Einstein, pur essendo stato il più travolgente e incontrollabile, è stato soltanto un ultimo atto di un cammino incominciato già decenni prima. I fisici dell'epoca, dovettero rimettersi completamente in discussione almeno 3 o 4 volte prima dell'avvento di Einstein. Altri studiosi affermano invece che, I nuovi fisici non hanno sconfitto Pitagora, ma sono semplicemente andati oltre, essi sono I nuovi neopitagorici, la cui coscienza matematica non è incastonata in rigidi schemi Hilbertiani, al contrario, essi sono libere menti, in grado di muoversi all'interno della fisica e dei numeri, sfruttando quella straordinaria capacità intuitiva propria dell'uomo, e propria di uomini come Copernico, Keplero, Newton, Galileo ecc ecc... essi non solo scienziati ma anche uomini di elevazione mistica. Come avrebbero potuto Pitagora prima e Keplero poi individuare una Musica delle Sfere generata dai pianeti e dalle stelle, con I loro “mezzi tecnologici”? Questo è per lo meno incredibile in quanto solo con i “radio telescopi” si è potuto “sentire” i suoni emessi dal cosmo. Il pensiero di Pitagora e Keplero è alquanto disarmante nella sua semplicità in quanto, se esiste una legge geometrica nell'universo, se il cosmo risuona di una sinfonia, allora anche noi per assonanza o come parte del microcosmo, risuoniamo delle stesse melodie celesti. Con questo piccolo esempio possiamo dedurre che sono arrivati conclusioni grazie al tipo di intuito descritto prima. MA ALLA FINE chi ha ragione? Chi vorrebbe mandare in soffitta tutta la teoria pitagorica? Oppure chi afferma che noi non ci siamo staccati da esse?????? Io non lo so, credo che solo il tempo potrà dare una risposta precisa a queste domande. Di sicuro ritengo, che se non avessimo volontariamente dimenticato o distrutto un'enorme patrimonio culturale, mistico, cabalistico e perchè no anche alchemico, costruito fin “dalla notte dei tempi” forse ora noi ci troveremmo a discutere di argomenti di gran lunga più complessi ed elevati. “Da quando I matematici hanno invaso la Teoria della Relatività, io stesso non la capisco più”
"Il Tempo non è affatto ciò che sembra. Non scorre in una sola direzione, e il futuro esiste contemporaneamente al passato."
- Albert Einstein -
CONSIDERAZIONI PARALLELE
Fin dai tempi più antichi, le arti e I mestieri erano appannaggio di pochi eletti. La particolarità di questi straordinari artisti è che essi erano eclettici e non specializzati in una sola ed unica materia. Troviamo quindi un artista che era pittore, ma anche scultore un pò medico e perchè no, anche ingegnere (vedi Leonardo), vedi gli astrologi che erano anche astronomi, gli alchimisti che erano medici e così discorrendo, Come loro, nella storia si sono avvicendate una quantità enorme di figure straordinarie, di molti conosciamo I loro lavori, ma della stragrande maggioranza, abbiamo soltanto dei nomi su note di libri, essi infatti sono scomparsi nell'oblio. A tempi alterni, nella storia dell'uomo ci sono stati momenti in cui la scienza e il libero pensiero hanno dominato un certo periodo della storia europea e altri momenti in cui essi hanno quasi rischiato di soccombere sotto l'ala della chiesa. Chiesa scienza, chiesa esoterismo-occultismo, la storia ci racconta questo: MAI queste arti nella storia dell'uomo hanno convissuto con la chiesa in maniera pacifica. I tempi però sono cambiati, anche se in questi ultimi 2 secoli la chiesa non ha più preso in considerazione una santa crociata verso la scienza o l'esoterismo, (credo che l'ultimo rogo della santa inquisizione risalga agli inizi del 1700) è rimasta però sempre valida la teoria della non pacifica sopravvivenza di arti così diverse tra loro, vedi l'illuminismo, che basa la sua fiducia nella ragione e nel progresso dell'uomo che è in grado di progredire con le proprie uniche forze, e rifiutando dogmi e superstizioni (a detta loro) imposti dalle religioni. Ora, incredibilmente, 2 grandi correnti di pensiero (scienza ed esoterismo-occultismo) vivono e si sviluppano parallelamente. Essi rinascono dalla metà dell'800 circa e sono la nuova fisica e tutte le organizzazioni esoteriche-cavalleresche mistiche. Gruppi esoterici non più spaiati e deboli come si era abituati a concepire prima, come ad esempio il vecchio alchimista concentrato nell'intento di studiare I suoi antichissimi libri, ma gruppi perfettamente organizzati, sparsi capillarmente in tutto il territorio e consapevoli del diritto di poter esprimere il proprio pensiero senza paura di ritorsioni...... o peggio! La Francia della fine dell'800, fu il terreno più fertile per questa nuova rinascita, forse perché l'estrema laicità di questa nazione riuscì in qualche modo a proteggere la nuova scienza occulta dalle secolari paure dei dogmi religiosi. Gli ordini più famosi e più diffusi in Europa ed anche in America furono: la Massoneria, e poi ancora la Golden Down, O.T.O. E molte altre ancora, però quasi tutte destinate a scindersi ripetutamente prima di sciogliersi. Anche I singoli personaggi non mancano, Eliphas Levi fu uno dei primi e più famosi occultisti della metà dell'800, come pure Papus ma troviamo anche Louis-Charles-Edouard de Lapasse, Simon Brugal, Kremmerz (italiano), oltre che Wynn Wstcott, Samuel Liddell, McGregor Maters, e Aleister Crowley. Certo è, che chi studia seriamente la Cabala non prenderà mai sul serio personaggi del genere anche se, essi divennero famosi in tutto il mondo proprio per le loro pratiche occulte, derivati dalla Cabala. Più interessante di CHI o di DOVE, credo valga di più la pena capire il PERCHE', perchè proprio ora? Perchè questa ricerca della conoscenza a 360 gradi, senza più limiti e precondetti? Forse perchè mai come ora l'uomo non è più incatenato in schemi preordinati, sicuramente I nostri occhi sono ancora velati, però siamo da un certo punto di vista più liberi di prima. Sicuramente l'essere entrati nell'era dell'Aquario ha dato la spinta decisiva a questa tendenza. Ma quali sono le sue caratteristiche? Cosa ci dobbiamo aspettare in questi futuri 2600 anni? L'Aquario ci donerà, (dandoci già un interessante assaggio), un progresso umano a 360 gradi. L'Aquario è il segno della piena consapevolezza cioè della quinta dimensione, è il segno dell'avvento del Messia. L'Aquario ha come elemento l'Aria e ed è in comunicazione con I Gemelli, la Bilancia, oltre che con Urano. I Gemelli ci doneranno una grande voglia di comunicazione mentre la Bilancia farà crescere in noi il senso della morale e delle pari relazioni tra gli uomini. L'Aquario dal canto suo, è il segno per eccellenza dello sviluppo scientifico (e qui I commenti ovviamente sono superflui) Aquario e Gemelli uniti, sono la volontà di ricevere informazioni di ogni genere anche a rischio di essere inutili, ma la nuova caratteristica dell'uomo, è proprio quella di essere consci della liberta della persona e questo è un valore insostituibile, dobbiamo solo capire quello che è giusto tra quello che è inutile o sbagliato. L'umanità ha appena abbandonato il segno dei Pesci che per eccellenza è il segno della spiritualità e della religione, con il segno dell'Aquario noi non dobbiamo dimenticare le nostre radici e sforzarci, con la nostra intelligenza e dinamicità e le nostre qualità interiori di continuare una strada già tracciata nell'era dei Pesci. Era dell'Aquario è l'era del lavoro di gruppo è la voglia di realizzazione di uno scopo comune grazie alle doti di ogni singolo elemento. Da queste caratteristiche notiamo che l'uomo è più indipendente, più curioso e questa curiosità ancora acerba lo porta a fare degli errori, ma il suo senso di libertà è, e sarà sempre più sovrano. Credo che l'uomo abbia molto forte l'istinto di una ricerca interiore, ma non vuole più essere comandato, (come è stato nell'era dei Pesci) preferisce sbagliare ma questo lo rende inevitabilmente più libero. Libertà di pensiero 800 anni fa equivaleva a eresia.
Fulvio Caccialupi

6 settembre 2010

- Fisica quantistica per capire come funziona la coscienza.


Per tutti noi la consapevolezza è un dato di fatto: qualsiasi cosa vediamo, sentiamo o facciamo ci fa «un certo effetto», qualcosa di vago eppure sempre ben presente al quale non possiamo sfuggire e sul quale non possiamo sbagliarci. Non a caso all’inizio del Novecento lo psicologo americano William James diceva che la coscienza è quella cosa che comincia quando ci svegliamo e si interrompe quando ci addormentiamo. Se però si tratta di definirla più precisamente cominciano i problemi. «Non c’è accordo su una descrizione – afferma Susan Blackmore, studiosa inglese che in un recente libro ha passato in rassegna tutte le teorie proposte finora – sebbene molti concordino nel dire che la coscienza ha a che fare con le esperienze soggettive: pensieri, sensazioni, percezioni». La sua comprensione resta infatti tra le grandi sfide della scienza contemporanea. Come scrive Michele Di Francesco, uno dei principali esperti italiani, «nulla ci autorizza anche solo a pensare di essere vicini alla spiegazione del come un insieme di processi elettrochimici e/o computazionali a livello del tessuto cerebrale sia in grado di produrre la meravigliosa varietà della nostra vita interiore».
Che cos’è la teoria dei quanti
La teoria quantistica fornisce oggi la descrizione più accreditata dei fenomeni fisici, a livello atomico e subatomico, in cui si possano trascurare gli effetti relativistici. Nata all’inizio del Novecento, grazie al contributo di studiosi come Max Plancke Werner Heisenberg, Albert Einstein e P.A.M. Dirac, Niels Bohr ed Erwin Schrödinger, afferma in primo luogo il superamento della divisione tra materia (concepita come insieme di minuscole entità discrete individuabili nello spazio e nel tempo) e radiazione (intesa come fenomeno continuo e ondulatorio). Il suo nome deriva dal fatto che l’energia della radiazione elettromagnetica può assumere solo valori multipli interi di un valore fondamentale, detto appunto «quanto». Dal principio di indeterminazione, per cui risulta impossibile determinare contemporaneamente posizione e quantità di moto di una particella, segue un’interpretazione probabilistica delle traiettorie delle particelle elementari, eliminando il determinismo causale a livello microscopico e introducendo elementi di incertezza statistica nelle equazioni. Malgrado le molteplici interpretazioni teoriche e filosofiche del formalismo, la teoria ha oggi fondamentali applicazioni tecnologiche e industriali.
Nuove vie per capire
Vista l’apparente intrattabilità del problema per filosofia e neuroscienze, da anni alcuni studiosi stanno tentando di aprire la cassaforte della coscienza ricorrendo a un’arma nuova e potente: la fisica quantistica. Tanto che da poco è nata anche una rivista specialistica, «NeuroQuantology». I pionieristici tentativi si devono al premio Nobel per la medicina John Eccles, autore con il filosofo Karl Popper di un’ampia teoria della relazione tra mente e cervello, che introdusse i campi di probabilità quantistica come interfaccia tra mondo materiale e mondo immateriale. È però del matematico e fisico inglese Roger Penrose, che collabora con l’anestesiologo americano Stuart Hameroff, l’ipotesi più nota e discussa. A suo avviso non c’è nulla di magico nella coscienza. Anzi, «i nostri cervelli sono completamente controllati dalla fisica di un certo tipo». Il punto è che si tratta di una fisica di tipo interamente nuovo, eccezionalmente complessa e controintuitiva, che si può maneggiare soltanto con un apparato matematico molto avanzato. Semplificando, argomenta Penrose, vi sono due livelli di spiegazione in fisica: quello consueto, classico o newtoniano, che viene usato per descrivere gli oggetti della nostra vita quotidiana, e il livello quantistico, usato per le scale subatomiche, governato dall’equazione di Schrödinger. In questa dimensione si trovano casi in cui due possibilità esistono nello stesso momento. Famoso è proprio «il gatto di Schrödinger», un esperimento mentale in cui l’animale, chiuso in una scatola dove è inserita una fiala di veleno collegata a un complicato meccanismo di innesco, può contemporaneamente (e paradossalmente) risultare vivo e morto nel medesimo istante. Ma quando facciamo un’osservazione (ossia ci muoviamo a livello della fisica classica), la sovrapposizione di stati deve terminare in uno dei due, attraverso il processo noto come collasso della funzione d’onda (ovvero, se apriamo la scatola, il gatto è vivo o è morto).
L’osservatore «fa» la realtà
Alcuni fisici – Eugene Wigner è il più autorevole – hanno sostenuto quindi che sia la coscienza umana a causare il collasso della funzione d’onda. Di qui sono nate – rileva Susan Blackmore – varie posizioni ingenue e spiritualistiche che cercano di coniugare la peculiarità della nostra vita mentale con la meccanica quantistica. Ma non è questa la strada imboccata da Penrose, il quale propone una teoria detta «riduzione oggettiva», un processo gravitazionale (che cioè tiene conto dell’attrazione tra i corpi) e non locale (vale a dire che permette effetti a distanza, modificazioni degli oggetti senza che siano in contatto uno con l’altro). «Oggi sappiamo che il miglior correlato neuronale della coscienza è la sincronizzazione dell’attività elettrica cerebrale sulle onde gamma (30-90 cicli al secondo). Quando diventiamo coscienti di qualcosa (per esempio, dello squillo del telefono accanto a noi), tutta la corteccia, ma anche regioni più profonde, come il talamo e parte del tronco encefalico, si sincronizzano in circa 25 millesimi di secondo », afferma Hameroff, docente emerito all’Università dell’Arizona e tra i promotori dei periodici convegni di Tucson sulla coscienza, uno dei due appuntamenti mondiali del settore. «Si tratta di un intervallo di tempo – prosegue – difficile da spiegare con la scarica dei singoli neuroni, che è assai più lenta. A nostro parere, qui entra in gioco l’effetto di coerenza quantistica. Tutto avviene al livello dei microtubuli, strutture composte di proteine filamentose che fanno parte del citoscheletro della cellula. I microtubuli non servono solo da sostegno al neurone, ma elaborano l’informazione, attraverso un calcolo quantistico non algoritmico (cioè che un attuale computer non potrebbe svolgere), favorito dalla loro struttura a spirale». I microtubuli convertono possibilità multiple preconsce o subconsce, che coesistono simultaneamente, in percezioni o pensieri specifici, tramite la forma di riduzione prodotta
dal collasso della funzione d’onda. A quel punto si passa nel regno della fisica newtoniana, quello che noi possiamo osservare e di cui abbiamo consapevolezza. «La non località quantistica – conclude Hameroff – rende conto dell’unità della coscienza, mentre l’indeterminazione quantistica spiega il nostro libero arbitrio».
Modelli controversi
Tutto semplice e lineare? Non esattamente. La teoria è altamente speculativa, e per ora non ha conferma sperimentale. Patricia S. Churchland, eminente filosofa e neuroscienziata, ha mosso una dettagliata critica agli argomenti di Penrose. Innanzitutto –
sostiene – i microtubuli esistono in tutto il corpo, non soltanto nel cervello; sono disponibili sostanze che possono danneggiarli ma non hanno effetti sulla coscienza, e anestetici capaci di «spegnere» la coscienza senza agire sui microtubuli. Per quanto riguarda la fisica implicata, la principale obiezione, sollevata da Max Tegmark, riguarda l’isolamento dall’ambiente che dovrebbero avere le strutture in cui avvengono i processi quantistici perché mantengano lo stato di coerenza: pare che questa condizione (difficilissima da riprodurre persino in laboratorio) non venga rispettata nel cervello caldo e umido. Tuttavia il filone quantistico segue anche altre strade. Il fisico teorico Henry Stapp, già collaboratore di giganti come Wolfgang Pauli e Werner Heisenberg, è assertore del fatto che «la meccanica quantistica ortodossa ha introdotto nella dinamica alcune scelte coscienti che non sono determinate dalle leggi della fisica oggi conosciute, ma che hanno importanti effetti causali nel mondo fisico».Ciò è possibile in base a un’interpretazione della teoria secondo la quale viene eliminato il concetto classico di sostanza materiale.
È l’idea sostenuta da Heisenberg in un articolo del 1958: «La concezione della realtà oggettiva delle particelle elementari è quindi evaporata non in una nuvola di qualche oscuro concetto di una nuova realtà, bensì nella trasparente chiarezza di una matematica che non rappresenta più il comportamento delle particelle ma la nostra conoscenza di questo comportamento».
Un processo continuo
Lo spostamento è significativo, e dalla cosiddetta «interpretazione di Copenhagen», elaborata in particolare da Niels Bohr, discende la divisione della natura in due parti: una è il sistema osservativo (che comprende corpi, cervelli e menti che allestiscono gli esperimenti ed è descritto dal nostro linguaggio ordinario e dalla fisica classica); l’altra è
costituita dai sistemi che vengono osservati e indagati, descritti dal formalismo della meccanica quantistica. Stapp si rifà a John von Neumann, altro colosso della fisica del Novecento, il quale vede un processo continuo fatto di infinite possibilità quantistiche a livello subatomico (gli stati sovrapposti visti in precedenza) e un processo di «investigazione» da parte nostra (detto «processo 1») , che fa specificare in singoli oggetti o eventi macroscopici ciò che la matematica descrive come un continuum. Nel dualismo interazionistico di Stapp, Schwartz e Beauregard, la posizione cartesiana che distingue tra mente immateriale e cervello fisico si traduce nell’affermazione che la coscienza è un fenomeno reale, mentre delle altre entità fisiche si riconosce solo la descrizione secondo leggi espresse in forma matematica. Dato che il «processo 1» è fondamentale per l’apparire del mondo come lo conosciamo, e che questo processo non è specificato dalle leggi della meccanica quantistica, sembra necessario introdurre le libere scelte della nostra mente. Si può affermare che l’intenzione cosciente dell’osservatore ponga una domanda al sistema osservato il quale, secondo leggi statistiche, può rispondere «sì» o «no» grazie al collasso della funzione d’onda quantistica, fornendo conoscenza all’osservatore. La risposta viene data dalla natura, e non è influenzabile dal soggetto. Anzi, per la sua casualità tende ad annullare lo sforzo cosciente. Ma la possibilità di porre in successione le «domande» permette di orientare le risposte grazie al cosiddetto «effetto Zenone quantistico ». La «scelta cosciente» agisce sul cervello, che a sua volta produce il comportamento manifesto nella realtà fisica. All’interno dell’interazionismo quantistico, le leggi della fisica connettono la scelta cosciente stessa con gli effetti fisici. La «mente» è quindi implicitamente considerata un primum ontologico capace di azione, in coerenza con la fisica quantistica ma al di fuori di essa.
La teoria dei campi
Ciò che però non risulta adeguatamente indagato è che tipo di cosa sia lo «sforzo cosciente» che agisce sul cervello, al di là del fatto che grazie a esso l’osservatore riuscirebbe a influire in modo peculiare sul sistema osservato. «Rifacendosi in vario modo alla lettura di Copenhagen della meccanica quantistica – riassume Antonella Vannini in una recente panoramica – tutti questi modelli fanno discendere le proprie assunzioni dal fatto che la coscienza stessa si pone a monte della realtà osservata e la determina. Sfuggono così alla verifica sperimentale». Oltre questa interpretazione, che ritiene insufficiente per dare conto della coscienza, si spinge Giuseppe Vitiello, fisico dell’Università di Salerno, sostenitore di un approccio più raffinato, che si confronta direttamente con il funzionamento del cervello usando la «teoria quantistica dei campi», un’evoluzione della meccanica quantistica. Il punto di partenza è il modello proposto nel 1967 da Luigi Maria Ricciardi e Hiroomi Umezawa, in cui la memoria è associata ai cosiddetti «stati di vuoto », i livelli più bassi di energia, una possibile spiegazione del fatto che la continua «riscrittura » di nuovi ricordi sullo stessa matrice cerebrale non comporta la cancellazione delle precedenti tracce mnestiche. All’origine della ricerca c’è la necessità di spiegare l’oscillazione simultanea di vaste aree dell’encefalo, che rispondono a stimoli esterni a una velocità di cui non riesce a rendere conto alcun meccanismo noto (come rilevava anche Hameroff). Vitiello lavora in laboratorio con il neurobiologo americano Walter Freeman, e suggerisce che l’ordine emergente osservato nelle configurazioni neuronali nasca dal meccanismo microscopico della rottura spontanea della simmetria indotta da uno stimolo esterno. «Il cervello – spiega lo studioso italiano – è un oggetto quantistico macroscopico, dotato di una coerenza speciale, non comprensibile con la fisica classica. Lo stesso accade, per esempio, per i cristalli, i magneti e i superconduttori. Un aspetto importante del modello dunque è che il cervello si comporta come un sistema classico (macroscopico) per la cui comprensione non si può tuttavia prescindere dalla dinamica quantistica dalla quale esso emerge. Nel modello, i neuroni, le cellule gliali e altre unità cellulari non sono quindi oggetti quantistici. Le variabili quantistiche sono quelle relative alle proprietà molecolari dei componenti biologici».
Il modello dissipativo
Questi sistemi possono vivere in molti stati fondamentali, passando da uno all’altro. «È proprio ciò che la meccanica quantistica non può spiegare», puntualizza Vitiello. «Serve la teoria dei campi (alla cui natura ondulatoria è associata una particella messaggero responsabile del propagarsi dell’informazione) in base alla quale possiamo descrivere come si formi l’ordine e soprattutto come il cervello interagisca con l’ambiente». Sarebbe proprio questo «accoppiamento », che comporta uno scambio continuo di energia e informazione – la dissipazione – a costituire la chiave per tentare di spiegare la coscienza. L’ambiente è il «doppio» del cervello, perché vi è un legame inscindibile tra i due, un dialogo continuo, un «traffico», come lo definisce il suo teorico. La qualità soggettiva della nostra esperienza sarebbe il risultato nell’interazione reciproca, che è un fenomeno fisico di altissima complessità. «Non siamo di fronte a una coscienza di tipo cartesiano – conclude Vitiello – con una separazione mente-mondo. A partire da un modello matematico possiamo ipotizzare che anche l’ineffabilità delle sensazioni che sperimentiamo sia un prodotto di questo “disvelamento” del nostro Doppio (perché la descrizione matematica considera cervello e ambiente un sistema chiuso; l’ambiente è l’immagine speculare del cervello nel tempo). La coscienza non è un oggetto, ma un evento, il risultato e la manifestazione di una dinamica, frutto del fatto che il cervello è immerso nel mondo. La coscienza potrebbe essere una fase particolare della materia vivente per come è organizzata quantisticamente. E ciò porta a non escludere che una forma di coscienza sia diffusa in tutto il regno animale».
Andrea Lavazza

3 settembre 2010

- L'interazione tra gli arcani maggiori dei tarocchi e le lettere della Cabala.


La lingua ebraica è per molti considerata una lingua sacra. Si dice che il suono delle sue lettere sia divenuto parola tramite la Bocca Divina che ha generato tutte le creature, sia nel mondo materiale sia in quello spirituale. Questa lingua è rimasta inalterata nel tempo nonostante i numerosi avvenimenti che hanno sconvolto il suo popolo. Non è però su questo che volgiamo soffermarci, ma sui misteriosi collegamenti che si dice esistano tra le carte degli arcani maggiori dei tarocchi e le 22 lettere della Kabbalah. Nonostante il suo Archetipo sia di stampo egizio, la Kabbalah ("Cabala" italianizzato) è divenuta la base delle scritture che hanno dato origine al linguaggio mistico e segreto delle sue lettere. Per gli esperti della Kabbalah, l'Albero della Vita, è uno strumento di sviluppo spirituale e di lavoro magico. La Kabbala contiene ogni cosa e il vero uso di tutti i suoi simboli porta a conoscere i Ventidue Sentieri delle dimore di Toth: i 22 Arcani Maggior o Trionfii. Esamineremo il significato delle 22 lettere corrispondenti alle carte dei Tarocchi, in maniera da poterne valutare meglio la parte occulta.
- Il Bagatto
Aleph si manifesta come il Sole, l'unità fondamentale di tutto il creato. Ma è ancora statico, in quanto troppo perfetto, a sé stante.
- La Papessa
Beth si manifesta come l'inizio della molteplicità, la nascita di qualcosa di diverso che era statico ma che comincia a muoversi.
- L'Imperatrice
Ghimel si manifesta come figlia della generazione a cui appare la figura del Padre (il Maestro).
- L'Imperatore
Daleth si manifesta come il Potere Assoluto del Padre (Aba).
- Il Papa
He si manifesta come il germoglio da cui esalano i vapori esaltanti e sensuali che aprono le porte dell'amore.
- L'Innamorato
Vau si manifesta come lo scambio avvenuto e con questo la «cucitura» con un altro essere (o coronamento della ricerca). Però può anche verificarsi una separazione per mancanza di sincerità, che può dar luogo alla solitudine.
- Il Carro
Zain si manifesta come l'arrivo del figlio, «il beneama-to», essendo l'ultimo, ovvero il settimo. E segno di fortuna. Astrologicamente rappresenta la Vergine che si capovolge in Pesci.
- La Giustizia
Heth si manifesta con il Volere e l'Abbondanza. Simboleggia la completezza del tempo, così perfetto com'è stato creato. Il superamento della dimensione temporale per entrare nell'assoluto. La coesione del vero amore, quello spirituale, al di sopra di ogni decadimento.
- L'Eremita
Teth si manifesta come colui che ricopre col mantello dell'occulto la prima unità essenziale. Egli si cela ad ogni pupilla e non spartisce il suo segreto neppure col fratello.
- La Ruota della Fortuna
Jod si manifesta come «il lupo solitario», guardiano del segreto dell'Albero della Vita. La sua sapienza è talmente suprema che si ritiene pericoloso accostarsi a lui.
- La Forza
Kaf, si manifesta l'impossibile che diviene possibile, ma può anche trasformarsi in contrapposizione negativa che attacca l'inerte.
- L'Appeso
Lamed si manifesta come il nemico con il coltello affilato, che separa la vita dalla morte.
- La Morte
Mem si manifesta come l'entrata nell'assoluto. Simboleggia l'amore posto al centro del cuore. La sua voce è l'identità dell'abisso dove giacciono i mondi primordiali.
- La Temperanza
Nun si manifesta come ambiguità della mano: la sinistra è quella del lutto, la destra quella della festa. Questa dualità comprende la totalità della natura dell'uomo.
- Il Diavolo
Samek si manifesta come uno dei nomi di Dio, rivelato come Padre e come Madre (Sapienza ed Intelligenza). E collegato all'orgoglio dell'Unione Superiore. Simboleggia lo splendore della bellezza femminile a patto che non venga contaminata dal sangue mestruale.
- La Torre
Hain si manifesta come l'unione della coppia e la consapevolezza della donna che porta in sé il segreto della stabilità. Ma non bisogna dimenticare che senza la protezione di Dio ogni legame umano è destinato a fallire.
- Le Stelle
Peh si manifesta come il Bene nel nome di Dio. Simboleggia le porte della conoscenza, che sono formate da una grande noce, di cui accenna il Re Salomone nel Cantico dei Cantici: «Sono sceso al giardino delle noci...».
- La Luna
Tsad si manifesta come «Colui che ama Dio» o «la radice della vita». I Maestri hanno detto: «Non c'è morte se non quella causata dal peccato».
- Il Sole
Qof si manifesta come significato di «principio». Simboleggia il valore di Eva, Madre di tutti gli esseri. Ma simboleggia anche il «pianto», nel senso di dolore che ha sconvolto l'umanità intera a causa del contrasto sorto tra l'uomo e il suo Creatore.
- Il Giudizio
Resh si manifesta come colui che, con gli occhi rivolti verso Dio, ha una visione di fratellanza universale.
- Il Mondo
Tau si manifesta come l'unificazione. Il suo simbolo è un cerchio. Inoltre è il legame di connessione che allaccia le due entità polari quando si accoppiano. E l'accoppiamento più bello e più vero avviene quando il seme superiore trasmette al mistico una goccia di sapienza.
- Il Matto
Shin si manifesta come «sarò Colui che sarò». Indica una potenzialità futura della proiezione divina, non ancora pienamente rivelata. Simboleggia l'attesa della Resurrezione : «Io dormo ma il mio cuore è sveglio».
I Tarocchi danno risultati curiosi quando sono sottoposti alle meditazioni delle lettere della Cabala. Il vero scopo della divinazione sarebbe quello di aiutare a discernere le forze spirituali contenute nei Tarocchi. Di tutte le scienze (se così si possono chiamare) divinatorie, la conoscenza dei Tarocchi è, senza dubbio, la più affascinante e completa. Per questo è interessante conoscerne i vari aspetti ed accostamenti, anche se, in apparenza, non sembrano necessari. Col tempo ci si accorge che qualsiasi corrispondenza è valida per comprenderne sempre più a fondo l'essenza. Che sia un pianeta, una cifra, una gemma, un Genio, una lettera kabbalistica, tutto va valutato nella sua complessità. Per alcuni questa non è più
cartomanzia ma raggiungimento di un livello superiore di percezione. Chi riesce ad acquisire la certezza di un Archetipo non potrà che andare «oltre» la comune interpretazione, immergendosi in una dimensione più esoterica, che lo farà penetrare nelle profonde verità nascoste nel Grande Libro di Toth magari tramite i tarocchi.