29 marzo 2011

- C. G. Jung e gli archetipi dell’inconscio collettivo

Jung non è stato solo una delle figure più eminenti della psicologia, ma uno studioso nel senso vero del termine, uno studioso dell'anima e dei suoi misteri. Le sue ricerche spaziano dalla mitologia all'alchimia, dalla psicologia delle masse alla religione, ed hanno ispirato e influenzato le scoperte di molti studiosi del nostro tempo. I quaderni di Eranos testimoniano il confronto di scienziati contemporanei alla luce delle scoperte di Jung. Come lo stesso Jung afferma, la sua vita è la storia di una autorealizzazione dell'inconscio, quindi non è la sua autobiografia che vogliamo qui proporre in modo esaustivo, ma alcune note biografiche, accompagnate dalle sue parole, così vive: In fondo, le sole vicende della mia vita che mi sembrano degne di essere riferite, sono quelle nelle quali il mondo imperituro ha fatto irruzione in questo mondo transeunte. Ecco perché parlo essenzialmente di esperienze interiori in cui comprendo i miei sogni e le mie immaginazioni. Carl Gustav Jung nasce in Svizzera, a Kesswill il 26 luglio 1875. Il padre era un teologo e pastore protestante, mentre la madre apparteneva a una vecchia famiglia di Basilea. Fin dall'infanzia fu interessato al problema del trascendente: dalla religione allo spiritismo. Si iscrisse alla facoltà di Medicina, si specializzò in Psichiatria, e finì per occuparsi delle psicosi. A venticinque anni, nel 1900, ottenne il posto di assistente presso il famoso Burgholzli, l'ospedale psichiatrico di Zurigo. Nel 1903 fondò all'interno dell'ospedale un laboratorio di psicopatologia sperimentale dove iniziò a compiere ricerche sulle reazioni psichiche per mezzo dei test di associazione. Nello stesso anno sposò Emma Rauschenbach da cui ebbe cinque figli, la quale rimase fino al 1955, anno della sua morte, una delle sue collaboratrici più significative. Nel 1905 divenne primario dell'ospedale psichiatrico e conseguì la docenza in Psichiatria all'Università di Zurigo dove si occupò di sonnambulismo, isteria, ipnosi. In questo periodo avvenne una sorta di miracolo ipnotico: una donna che soffriva da anni di paralisi alla gamba destra fu ipnotizzata in aula, davanti agli studenti: alla fine della trance ella si proclamò guarita, gettando via le stampelle. Questo evento contribuì a consolidare ed espandere velocemente la fama del Dott. Jung ed a favorirne l'attività privata. Nel 1900 Jung si avvicinò alle opere di Freud, con cui intratterrà uno scambio epistolare e che incontrerà personalmente a Vienna solo nel 1907.Fu un rapporto di reciproca stima e collaborazione che tuttavia mise in luce le profonde divergenze che li caratterizzavano. Il 1910 fu per Jung l'anno di rottura col padre della psicoanalisi che lo aveva invitato "a non abbandonare mai la teoria della sessualità!". In realtà i due studiosi cercarono di lavorare insieme ancora fino al 1917, fino al congresso di Monaco, ma lo scritto di Jung Trasformazioni e simboli della libido aveva ormai segnato un vero e proprio spartiacque.Jung lavorò intensamente, immergendosi in letture di mitologia, vangeli gnostici, nonchè nelle fantasie di Miss Miller, una giovane americana prossima ad un episodio psicotico.Iniziò così lo studio dei contenuti dell'inconscio, da cui emerse una concezione totalmente nuova dell'inconscio stesso, nonchè del concetto di libido, che portarono alla formulazione dei capisaldi teorici della psicologia analitica: l'inconscio collettivo, gli archetipi, il processo di individuazione con le varie fasi e figurazioni simboliche. La società psicoanalitica gli si rivoltò contro ed egli si ritrovò solo, isolato ed allontanato dai colleghi e immerso nel lavoro su innumerevoli sogni, suoi e dei suoi pazienti. "Allo scopo di capire le fantasie, spesso le raffiguravo. Così fu per l'immagine che emerse dall'inconscio chiamata poi Filemone. Non riuscendo a capire l'immagine onirica la dipinsi. Filemone e le altre immagini della mia fantasia mi diedero la decisiva convinzione che vi sono delle cose nella psiche che non sono prodotte dall'io, ma che si producono da sé, e vivono di vita propria." Dal punto di vista psicologico Filemone rappresentava un'intelligenza superiore, una figura misteriosa, un guru spirituale. Dal confronto diretto con la propria malattia creativa, Jung trasse quel particolare rispetto che caratterizza la sua concezione della malattia mentale, che pose le basi per una nuova relazionalità tra analista e analizzando. Si poté davvero scoprire guaritore ferito, rivoluzionando il concetto stesso di psicoterapia: E' certo un'ironia che io, psichiatra, nei miei esperimenti, mi dovessi imbattere in quel materiale psichico caratteristico delle psicosi, e che perciò si trova anche nel manicomio. Sempre più si affermò nel suo pensiero il mondo dell'anima, rispetto alla derivazione medico-scientifica allora imperante: Quelle immagini non concernevano solo me, ma anche molti altri. Quello fu il principio, e da allora cessai di appartenere solo a me stesso. Da quel momento la mia vita appartenne a tutti. Le conoscenze di cui mi interessavo, non potevano fare parte della scienza del tempo. Dovetti farne io stesso l'esperienza iniziale. Negli anni venti Jung visitò Algeri, Taos Pueblo nel nuovo Messico, il monte Elgon alle fonti del Nilo: In quegli anni cominciai a capire che lo scopo dello sviluppo psichico è il Sé. Non vi è una evoluzione lineare, vi è solo un andare intorno al Sé. Questa comprensione fu sostenuta da un sogno, e dal disegno che lo rappresentava, un mandala chiamato Finestra sull'eternità. In perfetta sincronicità di lì a poco Richard Wilhelm gli inviò il manoscritto di un trattato di alchimia taoista cinese intitolato Il segreto del fiore d'oro, e fu questo testo che parlava della possibilità di trovare la via che conduce agli opposti, che fece nascere in Jung l'interesse per l'alchimia in Europa e in Occidente e gli fece approfondire le ricerche sul simbolismo del Sé. Nel 1922 Jung acquistò un terreno a Bollingen, vicino al lago di Zurigo, dove costruì la sua "Torre" in pietra, un semplice edificio circolare che ingrandì nel corso degli anni e dove si ritirò dopo il 1946, per dedicarsi totalmente ai suoi studi. Negli ultimi anni della sua vita divenne egli stesso quel vecchio saggio che gli permise di realizzare la polarità senex-puer, portando il suo pensiero a compimento.Morì a Zurigo, nella sua casa di Kusnacht, il 6 giugno 1961. La sua presenza è viva e feconda nel nostro quotidiano lavoro, non solo attraverso lo studio del suo pensiero, ma soprattutto attraverso la continua sperimentazione di ciò che egli aveva intuito e sostenuto. Simonetta Figuccia ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Jung: il primo amico ed alleato di Freud e della teoria dell'inconscio. Jung, allievo e contemporaneo di S. Freud, parte dall'assunto che la vita psichica consti di un lato cosiddetto conscio e di un lato cosiddetto inconscio. La psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica junghiana si differenziano da ogni altra psicologia per la priorità che esse riconoscono all'inconscio quale fattore determinante la vita psichica. Mentre Freud si terrà sempre saldo alla descrizione dell'inconscio unicamente come inconscio personale, Jung individua, "sotto", per così dire, lo strato inconscio più superficiale che in sè contempla il patrimonio di esperienze e acquisizioni personali del soggetto lungo la sua storia, nonché i "complessi a tonalità affettiva", uno strato più profondo ed arcaico che egli chiama inconscio collettivo, strato questo che apparterrebbe a tutta la specie umana, indipendentemente da razze, latitudini, luoghi; esso sarebbe patrimonio comune e custodirebbe in sè appunto gli archetipi. Il modello energetico. Mentre Freud legge nel processo psichico una dinamica conservativa, Jung riconosce in esso anche un lato progettuale. Egli attinge, per descrivere la vita psichica, al modello energetico che mutua in parte dalle scienze della fisica, modello secondo il quale la psiche è un generatore autonomo di energia in virtù del dialogo interno tra due poli opposti: la coscienza e l'inconscio. Jung considera l'inconscio un sistema vivo. Egli non opera concettualmente in base alla "topica" freudiana che divide nettamente la coscienza dall'inconscio, in quanto si trova maggiormente attratto e convinto dalla definizione dei due lati psichici come presenze perennemente dialoganti, dialogo da cui scaturisce la trasformazione dell'energia (il tono affettivo, quale quid energetico, che si trasforma in valutazione, la quale si trasforma a sua volta in sentimento) che i due poli garantiscono giocando alternativamente e reciprocamente i ruoli di soggetto e oggetto. Da ciò si deduce che può esserci una coscienza inconscia (oggetto) e un inconscio cosciente (soggetto) in una fluidità che da W. James, sappiamo già, fu definita campo transmarginale. La psiche come mediazione tra i due modi di descrivere l'essere: lo spirito e la materia Jung, come la tradizione filosofica e letteraria, vede nella psiche il punto di incontro tra spirito e materia. Secondo tale modello la psiche è come una terra di mezzo tra spirito e materia; nella sua parte superiore troviamo il pensiero, in quella inferiore troviamo gli istinti. Istinti ed Archetipi dell'intuizione Jung approda al concetto di archetipo partendo dalla riflessione sulla natura degli istinti e su come essi vengano gestiti ed elaborati dall'inconscio. Egli non sa dare, come nessuno del resto, una definizione esaustiva degli istinti. Certo, essi sono coercizione all'azione e alla reazione al di là della finalità. L'istinto in azione è un processo non coscientemente finalizzato. Nell'inconscio esso si autopercepisce in forma di intuizione che esplode nella coscienza.L'intuizione implica la percezione di tutte le possibilità insite in una situazione, ovvero essa implica il risveglio del simbolo polivalente; essa non è né pensiero, né sensazione, né sentimento. Percezione istintuale e gesto istintuale L'archetipo non è qualcosa d'altro dall'istinto; esso rappresenta l'altra faccia della medaglia o del "foglio". Intuizione ed istinto sono due concetti analoghi e rovesciati: l'intuizione è detta da Jung anche percezione istintuale (ossia il contenimento di quell'energia che, altrimenti, verrebbe agita nel gesto istintuale). Con il termine percezione istintuale Jung intende la situazione che costringe il soggetto a percepirla e ad attivare in sè l'universo di possibilità pertinenti tra le quali cercare risposta. E' detta "istintuale" per il carattere dell'obbligatorietà a cui è soggetta, e "percezione" in quanto, come energia contenuta, viene appunto percepita, in forma di intuizione, dalla coscienza. La stessa energia (libido) pertanto può esprimersi in un gesto coatto, acoscienziale, "istintuale"; oppure può essere incanalata e compresa in un'istanza percepibile dalla coscienza, esprimendosi come "percezione istintuale". La percezione istintuale è la prima autorappresentazione dell'istinto. L'istinto è, dunque, il manifestarsi immediato dell'Essere, a cui corrisponde una possibilità di contenimento della stessa immediatezza.RiepilogoLa percezione istintuale, è l'esplosione nell'inconscio, in forma di intuizione, dell'energia istintuale trattenuta. L'energia (la libido) è sempre la stessa; essa però può prendere la via della conservazione di comportamenti collaudati (e così si esprime nel gesto istintuale), oppure può essere trattenuta e diventare così percezione istintuale (rendendosi energia disponibile per nuova conoscenza). Istinti ed archetipi dell'intuizione formano l'inconscio collettivo. Ad ogni istinto corrisponderebbe un archetipo. L'archetipo è una forma vuota E' un insieme di possibilità rispetto ad una situazione tipica della vita. Il soggetto, sia pure inconsciamente, ricorre sempre all'archetipo per comprendere e quindi creare nuova conoscenza rispetto alle situazioni tipiche dell'esistenza. Esso (l'archetipo come percezione istintuale) è il responsabile del mondo della creatività in contrapposizione al mondo della obbligatorietà e della conservazione (regno del gesto istintuale). Data la natura dinamica della psiche, possiamo ipotizzare che ciò che è istinto oggi, possa essere stato archetipo per una specie precedente o forse, addirittura, per un ciclo evolutivo anteriore. All'interno del ciclo evolutivo a cui noi apparteniamo e nelle potenzialità che ci appartengono da quando ci diciamo Uomo, noi siamo dotati di determinati istinti e di determinati archetipi. Chissà, forse stiamo oggi preparando nuovi istinti per i prossimi uomini. L'inconscio è un sistema vivo nella memoria dei toni affettivi e delle risposte collaudate per essi: i "primitivi" non vivevano direttamente l'evento pericoloso ma elaboravano nei miti, nei riti magico-religiosi il tono affettivo che l'evento pericoloso suscitava in loro. Ci fu un tempo in cui l'uomo non sapeva differenziare se stesso dal mondo, né, dunque, sapeva distinguere l'oggetto esterno dalla sua proiezione. L'inconscio è ancora oggi pronto a reagire, col suo patrimonio millenario, per vie invisibili attraverso l'attivazione degli archetipi che, come abbiamo visto, costituiscono le forme di manifestazione creativa degli istinti. Jung porta come esempio - per dire il passaggio da uno stato di "conservazione" ad uno stato di maggiore coscienza - i riti di fertilità della tribù Wachandi: gli uomini del villaggio, dopo aver allontanato le donne, e dopo aver scavato nella terra una buca a forma di vagina, danzano con le loro spade erette (che simboleggiano il fallo) e poi le gettano nella buca. Il naturale fatto biologico della procreazione viene collegato col fatto culturale della semina e della coltivazione. L'atto puramente pulsionale del congiungimento di maschio e femmina sul piano biologico-corporeo (il gesto istintuale) si trasforma, mediante il simbolo, incanalando quella stessa energia erotica verso nuove forme di vita, di conoscenza, di "spazi mentali". Premesse psichiche all'attivazione dell'archetipo: a) Fragilità della coscienza "infelice". Quanto più il soggetto è cosciente (e quindi, in virtù di un lavoro introspettivo, ha assottigliato la barra divisoria tra la sua individualità cosciente e l'inconscio collettivo) tanto più gli verranno incontro gli archetipi che gli parleranno attraverso sogni, intuizioni, visioni, ecc., affinché tramite essi egli prosegua e completi la dinamica fondamentale e rarissima dell'individuazione. Con questo termine Jung intende indicare il processo attraverso cui avviene la sufficiente integrazione dell'inconscio alla coscienza; integrazione grazie alla quale l'individuo diviene quel preciso, unico e indivisibile soggetto che già in potenza egli è. b) Fragilità della coscienza "incosciente". Quanto meno il soggetto è cosciente, tanto più seguirà la coscienza collettiva zittendo l'inconscio e togliendo importanza pratica all'Io. Egli saprà restare ancorato solo al mondo concretistico e agli automatismi, consumando la vita nella frammentazione e nell'astoricità dell'esperienza. Anche in questo caso, di minima coscienza e di "elementarità" psichica fino alla coscienza "primitiva", "psicotica", possiamo assistere ad un'intensa manifestazione archetipica. S'intende qui per automatismo psicologico un comportamento cosciente su cui l'Io potrebbe produrre modifiche ma che viene sottratto al suo potere da una sorta di dominante funzione istintuale. L'energia archetipica La condizione sufficientemente "evoluta" della coscienza non garantisce quest'ultima dall'ambivalenza archetipica. L'archetipo è energia distruttrice e creatrice al tempo stesso: - distruttrice perché sottrae il soggetto alla percezione ordinaria dell'esistenza e di se stesso; perché esso archetipo induce possessione e non è riconoscibile nel suo agire se non a posteriori; - creatrice e risanatrice perché, attraverso la sua capacità di indurre stati coscienziali "distorti", pare mettersi in moto al fine di equilibrare un preesistente atteggiamento unilaterale, "ingiusto" e "patologico" della coscienza. Si potrebbe dire che esso agisce terapeuticamente attraverso il paradosso: una sorta di caricatura del "funzionamento ordinario" della coscienza. V'è dunque un senso certamente anche nella distruttività dell'archetipo; essa va a ridimensionare, tramite esperienza estremamente frustrante e dolorosa, un malsano atteggiamento coscienziale (l'unilateralità già accennata). Le rappresentazioni archetipiche L'archetipo in quanto tale è irrappresentabile. Nei sogni e nelle fantasie si trovano le rappresentazioni archetipiche che costituiscono gli effetti dell'archetipo. E' la stessa situazione che in fisica si presenta con l'atomo e le particelle subatomiche: non si mostrano in sè e per sè. I loro effetti, le loro "tracce", sì.Accade cioè che materia e spirito siano entrambi irrappresentabili e che solo la psiche e i suoi contenuti lo siano. Siamo immersi nella psiche e tutto ciò che del mondo e di noi sappiamo, necessariamente lo sappiamo attraverso il filtro della psiche. Se poi si pensa a come le nevrosi (conflitti inconsci segnati dall'unilateralità dell'atteggiamento cosciente) possano essere fenomeni sociali, ciò induce a pensare che vi sia corrispondenza di attivazione archetipica e nell'individuo e nel sociale, corrispondenza che può segnare un'epoca a seconda del tipo di archetipo costellato (attivato) e dell'atteggiamento verso di esso. Può essere verso maggiore conoscenza e libertà (come è stato per esempio il "mitico '68" e il suo bisogno utopico e archetipico insieme di "redenzione"); può essere verso una restaurazione nostalgica e illibertà spirituale crescenti: la restaurazione dell'"Impero" nel periodo fascista o, per certi aspetti, gli stessi nostri anni attuali. Nel singolo individuo l'attivazione archetipica può essere una strada che deve essere percorsa per preservarsi dagli abusi della coscienza collettiva, che tende ulteriormente a unilateralizzare la coscienza individuale. Tra i fondamentali archetipi Jung cita: quello dell'Ombra, quello dell'Anima, quello del Vecchio Saggio. Possiamo anticipare che essi sono le personificazioni delle tappe fondamentali lungo il processo di individuazione e ciascuno cela dietro di sè i successivi. Se le trasformazioni e relative dinamiche sono simbolicamente personificate, il processo della trasformazione, in quanto tale, è rappresentato da situazioni, luoghi, modi e mezzi tipici ("archetipi della trasformazione") che simboleggiano la specie di trasformazione di cui si tratta.Caratteristica di questi, come di tutti i simboli, personificazioni e no, è la loro plurivocità, polivalenza, paradossalità (come lo spirito degli alchimisti che è giovane e vecchio insieme), nonché "la loro pienezza di riferimenti che rende impossibile ogni univoca formulazione." Il processo simbolico - prosegue Jung - può essere rappresentato dalle immagini alchemiche, come pure dal sistema tantrico dei "chakra" ecc. ed è "un'esperienza nell'immagine e dell'immagine". Il suo svolgimento presenta una struttura enantiodromica, ovvero "un ritmo negativo e positivo, di perdita e di guadagno, di luce e di tenebra". L'inizio del percorso è caratterizzato da una situazione impossibile. Suo scopo è un'illuminazione o un più elevato grado di coscienza per mezzo del quale il punto di partenza è superato su un piano più alto. In termini di tempo il processo può presentarsi condensato in un sogno, in un breve istante di esperienza o mesi o anni a seconda del punto di partenza e dello scopo che dev'essere raggiunto. L'Ombra è la prima raffigurazione archetipica che si incontra lungo il cammino della via interiore: come in uno specchio ci viene rimandata la nostra immagine interiore. Additando il limite personale l'Ombra si fa lanterna verso figure sempre più numinose. Il primo momento dell'incontro con l'Anima è generalmente segnato dal suo lato elfico irrazionale ove saggezza e follia sono una cosa sola. Pare necessaria una totale resa perché nuovi e più profondi livelli di significato possano emergere. L'archetipo del significato altro non è che quello del Vecchio Saggio: nel mito e nel folkore impersona lo Spirito. Anch'esso ha natura dicotomica. Può mostrare il lato superiore o quello inferiore di se stesso. Ada Cortese

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