5 luglio 2011

- ASTROLOGIA E ARCHETIPI






Poiché oggigiorno si fa molto uso di parole come: simbolo, archetipo, inconscio collettivo, e poiché dietro queste parole stanno concetti tutti appartenenti alla psicologia analitica di Carl Gustav Jung, non sarà inopportuno, per maggiore chiarezza espositiva, rifarsi direttamente a quella fonte onde chiarire l'originario significato e l'esatta portata di questa terminologia. Scopo di questo lavoro, dunque, è dimostrare che l'astrologia è un sistema di simboli attraverso i quali l'uomo entra in contatto con un archetipo dell'inconscio collettivo; che come tale risponde e soddisfa ad un insopprimibile bisogno umano; che la sua efficacia si esplica attraverso il principio dell'analogia. Il problema è stato in passato affrontato da illustri studiosi, e pertanto ho preferito, spesso e volentieri, cedere loro la parola con ampie citazioni piuttosto che surrettiziamente rimescolare idee altrui per gabellarle poi farina del mio sacco. Il metodo delle citazioni permetterà inoltre, a chi lo desidera, di reperire prontamente le fonti per approfondimenti e verifiche. Si obietterà che il presente studio non contiene in realtà niente di mio o niente di nuovo. Certo non è facile - se non si è ricercatori (ma sono pochi!) - dire qualcosa di veramente nuovo su una disciplina che conta migliaia di anni di storia (forse seimila, se si considera anche l'astrologia indù) e di cui è lecito supporre che lo stesso Tolomeo raccogliesse la tradizione già nel II secolo dopo Cristo. Ma non è questo il punto. Poiché sono convinto che gli antichi avessero già individuato nei loro sistemi di conoscenza il proprio ricongiungimento con il mondo degli dèi, mi sento di potere affermare che quanto c'è da dire è già stato detto. All'uomo contemporaneo è attribuito il compito, tramite un lavoro di archeologia culturale, di ritorno alle origini. Atteggiamento di incorreggibile passatista? Anche se così fosse, mi troverei certo in buona compagnia. «"Tutta la vita ho lavorato e studiato per scoprire queste cose ed essi già le conoscevano". Con queste parole, riportate dall'amico e autorevole studioso di gnosticismo Gilles Quispel, Jung paga idealmente il suo tributo a quei pensatori eretici, attivi soprattutto nel secondo secolo dopo Cristo, che noi indistintamente chiamiamo "gnostici"». Secondo Jung, la psiche individuale (da lui definita "inconscio personale") poggia sopra «uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma è innato». Questo strato, che ha contenuti universali, è il cosiddetto "inconscio collettivo". «Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell'idea di inconscio collettivo, indica l'esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque». L'archetipo a sua volta si manifesta in simboli ovvero in specifiche immagini psichiche, che vengono percepite dalla coscienza e sono diverse per ogni archetipo. Il simbolo acquista ed espleta, in questo modo, la funzione di trait d'union fra coscienza ed inconscio, sia esso individuale o collettivo. Credo che Jung ed altri eminenti studiosi della sua scuola abbiano ampiamente dimostrato che «fiabe e miti sono espressione di processi inconsci: la loro reiterata narrazione fa sì che questi processi siano nuovamente ricordati, ravvivati, ristabilendo con ciò il collegamento tra la coscienza e l'inconscio». Prosegue Jung: «In quanto il simbolo proviene sia dalla coscienza sia dall'inconscio, esso può unirli entrambi, riconciliando il loro antagonismo concettuale grazie alla sua forma o il loro antagonismo emotivo grazie alla sua numinosità». Col termine numinosità «definiamo l'azione di essenze e forze esperite dalla coscienza dell'uomo primitivo come fascinanti, terribili, schiaccianti e perciò attribuite ad una fonte transpersonale, indeterminata e divina». Sull'importanza del simbolo si è a lungo soffermato Mircea Eliade, secondo cui «le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche; essi rispondono ad una necessità ed adempiono ad una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell'essere. Ne consegue che il loro studio ci permette di conoscere meglio l'uomo, l'uomo tout court, quello che non è sceso a patti con le condizioni della Storia. Ogni essere storico porta con sé una grande parte dell'umanità prima della Storia.». Prosegue lo studioso: «Nel ricordare questi principi abbiamo voluto mostrare che lo studio dei simbolismi non è un lavoro di pura erudizione; che esso interessa, almeno indirettamente, la conoscenza dell'uomo stesso; in una parola, che esso ha da dire la sua là dove si parla di un nuovo umanesimo o di una nuova antropologia». E non esprime forse la stessa convinzione Giorgio de Santillana quando afferma: «È doveroso prestare attenzione alle informazioni cosmologiche contenute nel mito antico, informazioni di caos, di lotta, di violenza. Non si tratta di mere proiezioni di una coscienza perturbata, bensì di tentativi di raffigurare le forze che sembrano aver partecipato alla formazione del cosmo. Mostri, titani, giganti avvinti in lotta con gli dèi e protesi a scalare l'Olimpo, sono funzioni e componenti dell'ordine che alla fine viene ad instaurarsi.». Se si può affermare che l'uomo arcaico sicuramente osservava la volta celeste molte migliaia di anni fa, dobbiamo attendere ancora a lungo per avere le prime prove dell'esistenza di un corpus di norme astrologiche. A questo proposito, Jim Tester distingue tra i presagi tramandatici dalla letteratura oracolare mesopotamica (risalente al II millennio a.C.) e l'astrologia oroscopica vera e propria, non anteriore al IV secolo a.C., prodotto della cultura greca. Ci si è domandato quando e perché l'uomo abbia iniziato ad attribuire un particolare significato ai corpi celesti, e cioè quando e perché essi da oggetti si siano trasformati in immagini simboliche. Sotto un profilo psicologico, si può ipotizzare che ciò sia avvenuto all'atto della differenziazione della coscienza. Scrive Neumann che «con lo sviluppo della coscienza, si delinea una serie di manifestazioni dell'inconscio, che procede dall'assoluta "invisibilità" dell'"archetipo in sé" attraverso il primo affiorare dell'immagine (paradossale, difficilmente distinguibile, perché le immagini sembrano contrastanti e apparentemente si escludono a vicenda), sino al farsi visibile dell'archetipo primordiale.». Rimandiamo al magistrale «Storia delle origini della coscienza» chi fosse interessato ad approfondire questa particolare problematica. Sembra essere dello stesso avviso Sementovsky-Kurilo che, con la consueta acutezza e profondità, così si esprime: «La capacità d'immaginazione dell'uomo si ampliava man mano nella stessa misura in cui la sua coscienza raggiungeva "gradi più elevati". Ciò nonostante, il firmamentum internum, il "firmamento interiore", rimase intatto ed immutato nella sua natura-forma creata una volta per l'eternità, che appare ripetutamente in innumerevoli variazioni e che, vivendo, si sviluppa. La si può chiamare la vera essenza dell'astrologia, intorno alla quale si sono formate tutte le idee e concezioni che ad essa fanno capo. Al pensiero moderno si presenta però in modo pressante una domanda: l'essenza astrologica ha raggiunto la sua efficacia perché l'uomo primitivo ha, per così dire, proiettato le proprie emozioni ed esperienze nel cielo e con ciò "umanizzato" le stelle, oppure - al contrario - per il motivo che scoprì nella loro immagine visibile lo specchio della sua propria natura e ne collegò i mutamenti agli eventi della propria esistenza?». Secondo Giuseppe Bezza «lo Zodiaco è il simbolo più universalmente diffuso. In tutti i paesi lo si ritrova sostanzialmente identico, con la sua forma circolare, i suoi dodici segni ed i sette pianeti classici. La Mesopotamia, la Persia, l'Egitto, l'India, il Tibet, le due Americhe, i Paesi Scandinavi, il Madagascar e senz'altro alcuni popoli dell'Africa come i Dogon e i Bambara del Mali lo hanno conosciuto e se ne sono serviti come matrice dell'arte divinatoria.». Alla luce di quanto esposto sinora, saremmo portati a pensare che l'astrologia corrisponda ad un vero e proprio sistema di articolazioni del tempo e dello spazio che affonda le proprie radici nella coscienza mitica. E André Barbault, quando affronta il problema della nascita dell'astrologia, afferma: «La sua origine simbolica si fonde col monumento della mitologia che rappresenta un vero e proprio evangelo astrologico. Nelle più lontane epoche, fino alla civiltà ellenica l'astrologia si identificava con una mitologia e un culto astrale che si presentano, al tempo stesso, come una scienza, una poesia e una religione». Più oltre, commentando il passo della dr.ssa Esther Harding in cui l'autrice si sofferma sulla luna quale simbolo universale della donna, Barbault conclude: «Di fronte a questi miti e leggende dalle origini così poco uniformi - concepite da popoli tanto diversi e tanto lontani gli uni dagli altri, ma così straordinariamente simili al punto da stabilire un simbolo universale, unico, come il suono della campana - la sola spiegazione possibile è che questa mitologia rappresenta una realtà psicologica: sorta di substrato ancestrale dell'anima collettiva (inconscio collettivo), l'immagine arcaica del mito è stata proiettata sul cosmo sotto l'aspetto di un'entità divinizzata.». Si potrebbe obiettare che le proiezioni cessano di avere efficacia nel momento in cui il loro contenuto diventa cosciente, ossia viene razionalizzato, intellettualizzato. A questo proposito scrive Jung: «Ora, come noi sappiamo dall'esperienza medica, la proiezione è un processo inconscio, automatico, attraverso il quale un contenuto di cui il soggetto non ha coscienza si trasferisce su un oggetto in modo da sembrare appartenente all'oggetto stesso. La proiezione cessa però nel momento in cui diventa cosciente, quando cioè il contenuto è visto come appartenente al soggetto. Per questo il pantheon politeistico degli antichi deve non poco della sua decadenza all'opinione espressa per la prima volta da Evemero secondo cui gli antichi dèi non sono che riflessioni dei caratteri umani». Jung precisa però in nota che esistono casi in cui, malgrado l'apparente comprensione da parte del soggetto, il contraccolpo in lui provocato dalla proiezione non cessa, non interviene cioè l'attesa liberazione. «In questo caso, come ho spesso constatato, al portatore della proiezione sono ancora associati contenuti carichi di significato ma inconsci. Sono questi contenuti che alimentano l'efficacia della proiezione apparentemente compresa dal soggetto.». Quindi, se è vero che l'astrologia nasce come proiezioni di simboli e va capita e praticata come «uno dei più grandiosi tentativi che mai siano stati osati dallo spirito umano per dare una rappresentazione globale del mondo» (secondo la definizione datane dal Cassirer), i tentativi violentemente persecutori da parte di alcuni rappresentanti della scienza ufficiale potrebbero essere giustificabili solamente in considerazione dell'abuso che di essa viene perpetrato dai numerosi compilatori di cosiddetti oroscopi settimanali e mensili. Tali denigrazioni suscitarono meraviglia - ancora nel 1899 - nello storico ufficiale Auguste Bouché Leclerq, che nella prefazione alla sua Astrologie Grecque scriveva: «Questa astrologia già morta da tempo - e credo proprio che lo sia, a dispetto dei recenti tentativi tesi a resuscitarla - è stata trattata con un disprezzo quale non viene mostrato neppure per questioni d'importanza storica infinitamente minore. Si direbbe che in questi atteggiamenti sprezzanti giochi quella irritazione provata un tempo dai suoi avversari che non sapendo bene come confutarla si sono messi a odiarla». Abbiamo accennato al carattere numinoso dell'astrologia ed alla potenza del suo linguaggio simbolico. Riportiamo ancora una volta il pensiero di Jung ed il suo invito alla cautela: «Il pericolo principale è quello di soccombere al fascinante influsso degli archetipi, pericolo specialmente concreto se non rendiamo coscienti a noi stessi le immagini archetipiche. Allorché c'è già una predisposizione alla psicosi, può addirittura accadere che le figure archetipiche, nelle quali in virtù della loro numinosità naturale è insita una certa autonomia, si liberino del tutto da ogni controllo cosciente, conseguendo piena indipendenza e generando fenomeni di possessione.». Sbaglia chi crede di potersi accostare con leggerezza allo studio e pratica dell'astrologia; non mancano esempi di appassionati che, pur non essendo "posseduti" in senso junghiano, sono irrimediabilmente succubi e quotidianamente condizionati da questo simbolismo, anche nei loro più minuti comportamenti. A questo proposito è confortante l'atteggiamento di un notissimo astrologo italiano: «Personalmente ... penso che ogni astrologo che voglia aspirare ad un grosso livello di professionismo debba sottoporsi per un periodo abbastanza lungo alla psicanalisi, proprio per evitare il pericolo delle proiezioni. Per questo motivo mi sono sottoposto, per tre lunghi periodi della mia vita, a questo tirocinio...». Non desti perciò meraviglia se, come racconta Jacques Sadoul, «ben presto i compilatori di oroscopi regnarono sovrani in Roma. Un autore del IV secolo d.C., Ammiano Marcellino, racconta che persino i più increduli non attraversavano una strada senza aver prima consultato l'effemeride per sapere, ad esempio, in quale segno si trovasse Mercurio o quale zona del Cancro occupasse la Luna nella sua corsa celeste». Commenta Sadoul: «Se questo era il comportamento degli scettici, si rimane sgomenti all'idea dell'influenza che l'astrologia doveva esercitare sui creduli». Abbiamo visto come l'astrologia possa considerarsi un sistema simbolico; vediamone ora le funzioni e come tale sistema interagisca con l'uomo. Secondo Robert Amadou la dottrina astrologica si basa sulla «unità del cosmo e sull'interdipendenza di tutte le componenti di questo immenso complesso, concepite e percepibili attraverso l'analogia. Tale dottrina giustifica e forma l'astrologia». Commenta Barbault: «Questa dottrina del cosmo astrologico, di cui parlava Robert Amadou, configura l'uomo come un piccolo mondo (microcosmo) paragonabile al grande mondo dell'universo (macrocosmo). Il cosmo è un immenso essere di cui tutte le parti sono in connessione, soggiacciono alle stesse leggi e funzionano in modo analogo. L'energia che anima i corpi celesti è della stessa natura di quella che anima gli uomini. Un principio unico governa le divinità planetarie e gli elettroni, le passioni di Giove e gli amori incestuosi. La stessa corrente vitale circola dall'uno all'altro, dal microcosmo al macrocosmo: e poiché l'uomo è fatto ad immagine del mondo, possiamo conoscerli ambedue facendo un unico studio. Esiste un sincronismo perfetto fra questi due mondi ed è per questo che le cose si svolgono parallelamente in cielo e in terra». La migliore espressione di questo mistero è certamente contenuta nel detto della Tabula Smaragdina: ciò che è sotto è come ciò che è sopra. Anche Sicuteri si pone in questo filone (di cui - occorre riaffermarlo - il capostipite in Italia è indiscutibilmente il Sementovsky) quando afferma: «Il linguaggio astrologico è strutturato sul rapporto fra il cielo e l'uomo, dove il cielo è il significante e l'uomo il significato. Quindi il cielo, al momento esatto di una nascita, con la sua particolarissima configurazione astrale è il significante dell'individuo che nasce e costui, mediante la lettura del proprio grafico oroscopico, è condotto a prendere contatto con il proprio firmamento interiore archetipico. Tali simboli operano quindi sulla base scientifica astronomica (in quanto i pianeti in cielo sono una realtà!) e sul principio di sincronicità e analogia come è espresso da Carl Gustav Jung. I simboli astrologici non sono affatto casuali e deterministici. Anzi, noi vogliamo categoricamente precisare che nel discorso astrologico non esiste assolutamente un rapporto causa ed effetto. Esiste invece la realtà che ogni uomo, al momento di nascere, è inquadrato in una determinata configurazione astrale e questa configurazione è come fotografata nella psiche inconscia sotto forma di messaggio o memoria archetipica». Occorre ora accennare alla figura dell'astrologo. Si tocca qui un tasto dolente se pensiamo alle miriadi di ciarlatani che screditano questa disciplina o semplicemente ai tanti piccoli contabili dell'astrologia che, privi della necessaria preparazione ed etica professionale, scrivono testi di cattiva oroscopia ed interpretano temi di natalità come se fossero sistemi di equazioni matematiche. Questi ultimi, ammesso che agiscano in buona fede, si comportano come gli Elgoni di cui narra Jung nella sua autobiografia. Lo studioso racconta come tutte le mattine al levar del sole questo popolo uscisse dalle capanne e, dopo essersi sputato nelle mani, le alzasse rivolgendosi al sole. Scrive l'illustre psicologo: «Chiesi che cosa ciò significasse, perché sputassero o soffiassero sulle mani. La mia domanda risultò inutile: "lo abbiamo sempre fatto", dissero. Fu impossibile ottenere una qualsiasi spiegazione e mi resi conto che effettivamente essi sapevano solo che facevano questo gesto, non che cosa facessero. Era un atto nel quale in realtà non vedevano significato alcuno». Questi "dreusseurs d'horoscopes", che aspirerebbero a passare per astrologi, hanno, inutile dirlo, completamente perso di vista il simbolo. Von Klöckler, pur dichiarandosi contrario ad utilizzare dati e linguaggio della psicologia dell'inconscio per sostenere e motivare l'interpretazione astrologica, così si esprimeva nel 1932 sul ruolo dell'astrologo: «Quindi l'astrologia non è un metodo di interpretazione nel senso comune dell'espressione, e l'astrologo non deve considerare suo compito principale la conoscenza individualmente intesa di caratteristiche psichiche e rispettive conseguenze destiniche, perché essa non è di sua competenza. Naturalmente deve rappresentare gli impulsi fondamentali astrologicamente dimostrabili nei loro molteplici riferimenti in modo chiaro e con concretezza di immagini. Però non deve individualizzare i dati esposti! L'individualizzazione dei dati è compito della persona di cui ha interpretato l'oroscopo. Nella pratica siamo ancora lontani da questo atteggiamento e naturalmente si dovrà scendere spesso a compromessi, però bisogna anche chiarire continuamente al soggetto lo stato reale delle cose e ciò che l'interpretazione astrologica deve risolvere in lui. Occorre fargli presente che anche le conseguenze di questa operazione non sono del tutto prevedibili, al fine di scatenare in lui forze autonome liberatorie». Chiarito il ruolo dell'astrologo come mediatore fra il soggetto ed il suo universo interiore, come catalizzatore di un processo di sviluppo del proprio potenziale psichico, esaminiamo ora brevemente a quale funzione può adempiere l'astrologia sul piano collettivo. Quale è il posto di questa disciplina in un complesso culturale così pesantemente “scientifizzato”? Vorremmo rispondere, concludendo, con le parole di Fenoglio che, dopo essersi domandato il motivo del ritorno all'astrologia, così dice: «l'astrologia è un tentativo dell'uomo moderno di sottrarsi alla scienza esatta o di entrare a farne parte portando con sé il favoloso bagaglio dei suoi simboli? Certo non basta liquidare lo spiritualismo con l'irrisione del positivismo, perché lo spirito "è un vento che soffia dove vuole". Meglio invece accertare se è vero che esiste un desiderio universale, più o meno consapevole, di integrare la scienza con l'apporto di una ricerca spiritualistica negletta da tre secoli. Se così fosse, se in pratica lo scienziato instaurasse un dialogo permanente con l'astrologo e l'occultista, allora il rilancio popolare dell'astrologia agli inizi di questo secolo sarebbe ricordato come il salutare preludio all'auspicato ecumenismo culturale di scienza ed umanesimo, e l'astrologia ringraziata per la sua valida funzione di mediatrice. Ma se la scienza non avvertisse questo bisogno e procedesse da sola, nella spietata lucentezza delle sue cifre, allora il rilancio dell'astrologia sarebbe l'ultimo atto - la comica - di una cultura umanistica sfaldatasi all'urto di strumenti esatti».
Enzo Barillà