10 agosto 2013

- Il Sogno.



Fin dagli albori dell’umanità il sogno è stato considerato un mezzo, un ausilio di ordine superiore, un dono ed un messaggio degli dei, che permettesse all’uomo di capire il suo mondo, prevedere, trarre ispirazione rispetto alle proprie vicende quotidiane attingendo ad un livello di significazione diverso da quello della realtà concreta.
L’attenzione continua prestata ai sogni ed il carattere di sacralità che accompagna la loro interpretazione presso gli sciamani di quelle che rappresentano oggi le ultime tribù indigene ancora presenti in alcuni luoghi del nostro pianeta, testimoniano del riconoscimento delle culture precedenti alla nostra circa l’importanza del sogno come medium, canale di collegamento tra la sfera umana e quella sovrumana e divina, o tra la dimensioni della fisicità corporea e quella della mente, o ancora tra materialità e spiritualità.
Le prime fonti scritte che ci provengono dall’antico Egitto e dalle popolazioni più civilizzate dell’area medio-orientale ci parlano dei sogni come di un aspetto molto importante del loro stile di vita ed inscindibile dalla quotidianità; i sogni inviano i messaggi degli dei ed occorre ascoltarli se si vuole migliorare sè stessi e vivere in armonia; gli indovini più ricercati, ma anche i potenti sacerdoti dello stato, sono rispettati e temuti anche per la loro capacità interpretativa riguardo ai sogni loro sottoposti da faraoni, re e imperatori. Nella Grecia classica fino alla Roma Imperiale, e poi attraverso il Medioevo ed il Rinascimento, l’interpretazione dei sogni costituisce un elemento fondamentale della prassi terapeutica della medicina e concorre alla formulazione diagnostica e prognostica. Famoso era il tempio dedicato ad Asclepio (il latino Esculapio) presso Epidauro, dove i sofferenti si recavano per ottenere la guarigione, che passava attraverso una prassi di digiuno e di preghiera e nell’attesa che un sogno potesse illuminare il malato sulla cura da intraprendere.
Alcuni autori classici, tra i quali Ippocrate, Platone, Aristotile, scrivono e meditano sul sogno e sulle sue possibili origini, anticipando in alcuni casi alcune delle conclusioni cui solo venti secoli dopo pervenne Freud (p.es. il ruolo giocato dalla repressione-rimozione istintuale quale “motore” del sogno). Anche il “Libro dei sogni” di Artemidoro di Daldi, che riporta in maniera sistematica tutto quanto attiene alla cultura dei sogni nella Grecia antica, offre chiarimenti attualissimi sulla dinamica dei sogni quando introduce il principio associativo e la somiglianza tra i vari elementi onirici per spiegare la costruzione del sogno (una prefigurazione della “libera associazione” freudiana ..!).
Progressivamente però, l’attenzione al mondo onirico diventa meno puntuale e distratta, fino a regredire a causa dell’avvento della mentalità razionalizzatrice del XVII secolo, dello sviluppo delle scienze esatte e dell’età dei Lumi; in questo arco di tempo il sogno perde lo status di fattore esplicativo della psiche dell’individuo e cade nel dimenticatoio della Scienza, incarnando agli occhi del Progresso quanto sopravvive dei retaggi del passato, della mentalità retriva e credulona tardomedievale.
E’ solo sul finire del secolo scorso che il sogno e l’attività onirica nel suo complesso tornano all’attenzione della cultura scientifica e si arricchiscono di significazioni nuove collegate allo studio della psicologia profonda e inconscia. Freud prima e Jung poi daranno un contributo decisivo alla spiegazione dei processi inconsci che conducono alla formazione dei sogni, il primo centrando l’attenzione sul dinamismo conflittuale conscio-inconscio e sul ruolo primario svolto in questo contesto dalla censura dell’Io e dai correlati meccanismi di rimozione, il secondo inserendo il sogno all’interno di un più ampio movimento della psiche profonda che si snoda attraverso un progressivo processo di individuazione e che porta il soggetto ad un sempre maggiore contatto con sè stesso e con la propria Ombra.
Con la pubblicazione de “L’interpretazione dei sogni” nel 1899, infatti, Freud anticipa le coordinate della successiva impostazione teorica psicoanalitica, ed individua nel sogno essenzialmente una modalità di soddisfacimento di desideri infantili rimossi, costretti ad “aggirare” l’ostacolo della censura della coscienza a causa del loro contenuto inaccettabile dall’Io del sognatore e pertanto trasformati, deformati, occultati nella forma di materiale onirico apparentemente incomprensibile, quasi alieno alla propria personalità; si impone così un opera di “traduzione” (o meglio di ri-traduzione..) di tali elementi che prevede il ricorso ad un codice, ad una matrice simbolica che la psicoanalisi ravvede appunto nella prima vita affettiva del soggetto e nel progressivo sviluppo della componente pulsionale sessuale.
Freud introduce così la differenziazione tra contenuto “manifesto” del sogno e contenuto “latente”, dove al primo -frutto dell’elaborazione successiva della censura e delle forze rimoventi- deve essere contrapposto il secondo (la ricerca della componente pulsionale che ha generato il sogno) grazie al metodo psicoanalitico per eccellenza, la “libera associazione”.
La dinamica coscienza-inconscio, che si palesa quindi nel sogno attraverso lo scontro della pulsionalità dell’Es contro gli argini costituiti dalle più tarde formazioni superegoiche, presuppone per il suo buon funzionamento il raggiungimento di un costante “compromesso”: il sogno per Freud, così come il sintomo psicopatologico, rappresenta un compromesso -raggiunto dalle parti conscia ed inconscia della personalità- che assolve inoltre una importante funzione biologica, quella di permettere il riposo dell’organismo durante il sonno (il sogno come meccanismo protettivo-simbolizzato del sonno...). Laddove la costruzione del sogno incontra difficoltà, p.es. quando non è possibile raggiungere attraverso la deformazione onirica un compromesso tra istanze rimoventi e forze pulsionali che premono per la loro gratificazione, il risultato è il sogno d’angoscia o l’incubo, cui segue il risveglio anticipato: è come se il sogno non avesse potuto trasformare ed amalgamare i materiali grezzi in modo tale da dargli una forma accettabile per il vaglio della coscienza.
La dinamica del disvelamento, cioè dell’occultamento dell’originario messaggio del sogno che necessita di un opera di traduzione simbolica degli elementi onirici, risulta così centrale nella visione freudiana; permane tuttavia l’impressione che per Freud il sogno rappresenti un enigma da decifrare, un ostacolo da superare sulla via della conoscenza dell’interiorità dell’individuo, un terreno infido (nonostante ne riconosca l’importanza quale “via regia per l’inconscio”...) che prevede il costante rimando a matrici di significazione radicate nella prima infanzia e nel rapporto con i primi oggetti (madre, padre) ed a contenuti a prevalente connotazione sessuale, piuttosto che una modalità privilegiata - e “biologicamente predisposta”- per porsi in contatto con le profondità di sè stessi.
La visione junghiana del sogno si riconnette alla linea di pensiero propria delle tradizioni antiche, occidentali e non, in quanto recupera e fa perno sulla componente del legame, del punto di contatto tra coscienza e inconscio, ma soprattutto -e in questo forse è il carattere differenziante rispetto all’impostazione freudiana- sulla possibilità di attingere conoscenza di sè e del mondo dal sogno con una maggiore “fiducia” nelle sue modalità di espressione e di simbolizzazione.
Il sogno è quindi per Jung essenzialmente un messaggio, una comunicazione della sfera conscia con quella inconscia in base al principio della “compensazione” (l’ inconscio produrrebbe simboli diretti alla compensazione dell’unilateralità delle tendenze dell’Io), in modo da integrare sempre più i contenuti rimossi e tenuti costantemente fuori dalla coscienza durante la veglia e pervenire così ad un superiore livello di equilibrio del sistema psichico dell’individuo.
Una importante differenziazione viene poi delineata nella visione junghiana circa la “qualità” o la natura dei sogni: accanto ai sogni più comuni, che possono essere più o meno esaurientemente interpretati ricorrendo alle libere associazioni del sognatore, ne esistono altri, meno frequenti e dotati di un carattere “numinoso”, illuminante aspetti profondi della vita del soggetto, che rappresentano o segnalano tendenze istintive ed attingono ad una dimensione “archetipica”, dove è possibile rintracciare le immagini primordiali dell’umanità e del suo sviluppo filogenetico (la duplice valenza dei sogni in Jung riflette infatti la concezione di un inconscio “bipartito” o, meglio, stratificato: uno strato inconscio più superficiale (l’inconscio “personale”), ed uno più profondo (l’inconscio “collettivo”, che si protende fino al confine con il biologico..).
E’ come se questi due grandi pensatori osservassero il sogno (ma, in realtà, l’uomo stesso nella sua duplice natura psichica), ognuno dal proprio angolo visivo, e ritraessero ciò che loro vedono prevalentemente del fenomeno onirico: Freud da un’angolazione più vicina alla sfera di coscienza (per cui il “suo” sogno, prodotto dell’inconscio per eccellenza, sembra comportare la necessità di ricorrere a tematiche di traduzione e decifrazione, che possono però anche risolversi in un impoverimento complessivo del contenuto onirico, laddove viene a mancare l’automatismo della riduzione all’oggetto originario simbolizzato); Jung, invece, da una visuale più ampia e forse anche più prossima alla dimensione della psiche inconscia, dove le coordinate spazio-temporali divengono più sfumate e l’individuo si riavvicina ad un senso di sè originariamente spirituale, che lascia aperte ulteriori possibilità di lettura del fenomeno onirico valorizzando la sua connaturata componente creativa e prospettica, nonchè di orientamento della coscienza.
Il sogno, dunque, rivalutato dall’uomo moderno e ricollocato nella giusta posizione che gli compete in quanto funzione psichica indispensabile per il raggiungimento di un efficiente equilibrio mentale, consente una comprensione più profonda di sè stessi ed offre uno specchio del proprio mondo affettivo ed emotivo, permettendo una comunicazione tra il dentro e il fuori di sè, tra desiderio e realtà, tra passato e presente.


Dr. Fernando Maddalena
Psicologo, Psicoterapeuta - Chieti

7 agosto 2013

- Zero tra filosofia e matematica.



Tutto nasce e finisce pensando a questo numero.
Esce un libro che indaga una delle cifre più signíficative che ha affascinato il mondo della scienza, ma anche quello della speculazione filosofica.
Ci sono molti modi per avvicinarsi al concetto.  Dal non essere metafisico al silenzio religioso, dal buco dell'universo al vuoto esistenziale.
"C'è il nulla da cui si fugge, e c'è il nulla verso cui ci si dirige", diceva Simone Weil, sotto intendendo che dal nulla si fugge con il principio, la nascita, l'arrivo, la presenza, l'impegno, l'azione, la creazione, e verso il nulla ci si dirige con la distruzione, l'inerzia, la rinuncia, l'assenza, la partenza, la morte, la fine.
La sua prima apparizione letteraria il nulla l'ha fatta nel libro IX dell'Odissea quando Ulisse dichiarò a Polifemo di chiamarsi Nessuno.  Da allora è diventato una costante di riferimento della letteratura: dai versi di Leopardi ("a noi presso la culla, immoto siede, e su la tomba, il nulla") agli aforismi di Lewis Carroll ("per vedere nulla ci vuole una vista ottima").  Le metafore del nulla, poi, sono pervasive: l'assenza in Aspettando Godot, l'ombra in Peter Pan, il buco in Tanto rumore per nulla (di cui oggi sfugge il greve doppio senso elisabettiano).
Se assenze, ombre e buchi alludono più o meno indirettamente al nulla, la sua realizzazione letterale è il silenzio, a cui hanno incitato, parlando, i mistici di ogni tempo, da Lao Tze ("chi sa non parla, chi parla non sa") a Wittgenstein ("su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere").  Prima di spirare nel silenzio assoluto, l'arte spesso agonizza in quello relativo dell'opera inedita, incompiuta o non scritta: Borges e Lem hanno recensito opere inesistenti; Marcel Bénabou ha scritto Perché non ho mai scritto nessuno dei miei libri, Paul Fournel ha prodotto Suburbia, un'opera completa di prefazione, introduzione, note, postazione e indice, ma senza testo; Tristram Shandy di Laurence Sterne contiene fogli bianchi e capitoli mancanti....
In musica il silenzio è fondamentale: ogni spartito contiene delle pause, di cui ci sono otto tipi diversi, e il famoso bussare del destino della Quinta sinfonia di Beethoven incomincia appunto con una accentata, come ogni nota agli inizi di una battuta!  A volte non c'è altro, come nella "composizione "4'33" di John Cage: 273 secondi di silenzio, che richiamano esplicitamente la temperatura dello zero assoluto.  Altre volte c'è poco di più, come nella Sinfonia monotona di Yves Klein, che consiste di un unico lungo suono continuo seguito da un lungo silenzio.
Il ruolo della pausa musicale è preso nella pittura dalle porzioni del colore di fondo del foglio o della tela su cui si dipinge, e analoghi al silenzio sono i quadri non dipinti di Lucio Fontana, che alla mancanza di pittura uniscono anche buchi e tagli che rappresentano il vuoto.  Alle composizione monotone corrispondono invece le tele monocrome dì "artisti" quali Rauschenberg, Reinhardt o il solito Klein.  Naturalmente, qualunque raffigurazione pittorica è un simulacro del nulla: anche se le immagini sulla tela pretendono infatti di rappresentare qualcosa non per questo cessano di essere segni. Il concetto è stato memorabilmente espresso da Magritte in Il tradimento delle immagini, che rappresenta una pipa, con la scritta "questa non è una pipa".
Visto che stiamo diventando filosofici, tanto vale notare che anche la filosofia ha la sua versione del nulla nel "non essere", che generò con Parmenide uno dei primi paradossi della storia: per la sua natura, infatti, il "non essere" non può essere niente, ma allo stesso tempo è qualcosa (appunto il "non essere"). Per la cronaca, il paradosso fu risolto da Platone nel Sofista, anche se molti filosofi mostrano di non essersene accorti: la soluzione è che non ha senso parlare di "essere" o "non essere" assoluti, e lo si può fare soltanto in maniera relativa.  In particolare, non hanno senso le amenità che pur abbondano imperterrite in testi che vanno da L'essere e il tempo di Heidegger a L'essere e il nulla di Sartre.
Naturalmente, quando sì tratta di amenità anche la teologia non scherza: basta ricordare le pensate sul nulla dello gnostico Basilide "il nulla-Dio creò dal nulla il nulla-Mondo"), di Scoto Eriugena ("il nulla da cui Dio crea tutte le cose è Dio stesso") e di Maestro Eckhart ("Dio è nulla di nulla").  Oggi, ormai tramontati questi equilibrismi squilibrati, l'espressione più pregnante della concezione nichilista della divinità si trova forse nella parodia del Padre Nostro di Hemingway: "Nulla nostro, che sei nel nulla, sia santificato il tuo nulla, venga il tuo nulla, sia fatto il tuo nulla, ovunque nel nulla.  Dacci oggi il nostro nulla quotidiano e rimetti a noi i nostri nulla, come noi li rimettiamo agli altri nulla. E non ci indurre nel nulla, ma liberaci dal nulla.  Amen".
A questo punto, può anche sorgere un dubbio: se mai del nulla si possa parlare in maniera sensata.  Il dubbio è dissipato dalla lettura dell'interessante Zero di Charles Seite (Bollati Boringhieri), che indica dove si debbano cercare i discorsi sensati sull'argomento: precisamente, nella scienza e nella matematica, dove la presenza del nulla si è fatta problematica e inquietante, ed esso ha ormai assunto un ruolo altrettanto fondamentale, se non addirittura maggiore, della stessa realtà apparente.
Naturalmente, il nulla fa la sua apparizione più scontata in fisica nel vuoto, introdotto in Oriente dal taoismo, ma a lungo rimosso in Occidente.  La teoria prevalente nell'antichità era infatti quella di Platone e Aristotele, che definivano la posizione di un corpo attraverso le sue relazioni con gli altri corpi.  Fu Newton a rendere popolare l'idea, già anticipata dagli atomisti, di uno spazio vuoto come contenitore degli oggetti.  La relatività generale di Einstein reintrodusse invece la concezione relazionale dello spazio-tempo, la cui struttura è determinata dalla materia.  A sua volta, e paradossalmente, la materia corrisponde ai "buchi" dello spazio-tempo. Non è dunque chiaro quale sia il nulla e quale l'essere, nella teoria della relatività.
La cosa diventa ancora più problematica nella meccanica quantistica, il cui vuoto è in realtà un pieno in cui succede di tutto: continuamente, infatti. vi si formano coppie di particelle e antipartcelle, e anche di "corpi " e "anticorpi", di durata inversamente proporzionale alla loro massa.  A permettere che dal nulla eterno si crei la materia è il famoso principio di indeterminazione di Heisenberg, che permette alla natura di prendere temporaneamente a prestito energia, per periodi tanto più brevi quanto maggiore é il "capitale" prestato.  Lungi dall'essere qualcosa che la natura aborrisce, sembra dunque che per la fisica moderna il vuoto sia divenuto la naturale culla dell'esistenza.
E lo stesso succede per la matematica moderna, che ha anch'essa due versioni del nulla.  La prima, e più ovvia, è lo zero che dà il titolo al libro di Seife: tanto ovvia, che può sorprendere che esso sia stato inventato o scoperto solo abbastanza recentemente, e non in Occidente.  Non l'avevano infatti né i greci né i romani, e lo trovarono gli indiani verso il 500 d.C. e i maya nella seconda metà del primo millennio.  Gli indiani lo indicavano con un puntino chiamato sunya, che significa "vuoto": dalla sua traduzione araba sifr deriva la parola "cifra", e dalla successiva traduzione latina cephirum deriva l'italiano "zevero" (zefiro), che poi divenne "zero".  Il simbolo O ci arriva invece dagli arabi, ed è la stilizzazione di un buco: ancora una volta, tanto rumore per nulla.
L'altra versione matematica del nulla è l'insieme vuoto, che non contiene nessun elemento.  E come l'aritmetica è costruita a partire dallo zero, cosí la teoria degli insiemi, e dunque l'intera matematica moderna che su di essa si basa, è costruita a partire dall'insieme vuoto.  Essa si riduce così a un edificio di pure forme, che si dissolve in ultima analisi nel nulla.
Allo stesso modo, si rimane con niente in mano se si cerca l'essenza di una cipolla pelandola o del carciofo sfogliandolo, come notarono Pirandello in Vestire gli ignudi, Ibsen nel Peer Gynt e Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche.  Con una differenza: che mentre le cipolle della letteratura e i carciofi della filosofia stuzzicano l'appetito, ma non tolgono la fame, sui numeri e sugli insiemi si basano la scienza e la tecnologia, che danno da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.  Chi ha orecchie per intendere, intenda.  E chi non ce l'ha, che pianga se stesso.


- Esoterismo.











- Meteora (Grecia)










Meteora, letteralmente "metà del cielo", "sospeso in aria" o "in alto nei cieli") è una famosa località ubicata nel nord della Grecia, al bordo nord occidentale della pianura della Tessaglia, nei pressi della cittadina di Kalambaka. È un importante centro della chiesa ortodossa, nonché una rinomata meta turistica, ed è stata dichiarata patrimonio dell'umanità dall'Unesco.
Dei ventiquattro monasteri edificati con enormi sacrifici in cima a falesie di arenaria, attualmente solo sei sono ancora abitati, in parte recuperati dopo anni di abbandono:
Meteora (che significa "sospeso in aria") si caratterizza per la presenza di numerose torri naturali di roccia. Su diverse di queste torri si sono insediati dei monasteri (a loro volta detti "meteore"), caratteristici per l'ardita costruzione in cima a pareti a picco. Oggi sono funzionanti e visitabili sei monasteri (Agios Stefanos, Agia Triada, Gran Meteora, Varlaam, Roussanou e Agios Nikolaos), oltre un settimo disabitato; altri sono andati distrutti ed in parte se ne conservano le rovine.
Fino al secolo scorso i monasteri erano raggiungibili solo con scale a pioli o con sistemi a carrucola, ora ci sono scale in muratura o scavate nella roccia la cui salita è impegnativa ma non molto faticosa, richiedendo di solito circa dieci minuti. La visita consente ai turisti di vedere alcuni luoghi dei monasteri come la chiesa e, nei più grandi, il museo. Il panorama è sempre molto suggestivo. L'ingresso ai monasteri è a pagamento solo per cittadini non greci (2,00 nel 2012) per le donne sono a disposizione dei teli da indossare a mo' di gonna per coprire le gambe scoperte o i pantaloni.
La morfologia del luogo ed in particolare le torri hanno avuto origine con l'erosione dell'arenaria. Molto probabilmente l'erosione è iniziata ad opera del delta di un fiume che 25 milioni di anni fa sboccava nel mare che copriva l'attuale pianura della Tessaglia. Poi i rilievi sono stati modellati dall'acqua e dal vento, giungendo alla formazione di quattro gruppi di torri alte fino 400 metri. Per la particolare conformazione rocciosa Meteora è oggi meta di scalatori provenienti da tutto il mondo.
Meteora è sede di uno dei principali raggruppamenti di monasteri della Grecia, secondo solo a quello del monte Athos.
I primi insediamenti risalgono all'XI secolo, quando i primi eremiti occuparono alcune grotte nei fianchi dei dirupi.
Nei pressi della formazione rocciosa detta "Dupiani", agli inizi del XII secolo si formò una comunità di asceti che dette avvio ad uno stato monastico organizzato.
Nel XIV secolo, allo scopo di difendersi dai turchi, furono costruiti monasteri sulle cime di rocce inespugnabili. Si narra che Atanasio, nel fondare il monastero della Trasfigurazione (Gran Meteora) con le severe regole monastiche del monte Athos, abbia chiamato "Meteoro" la roccia a base dell'edificio, dando così origine al termine di meteora ancora oggi in uso.

Dopo un periodo di proliferazione e di ampliamento dei monasteri, il passare del tempo e le calamità, come le incursioni di vari conquistatori, condussero al declino molti di essi, in particolare dopo il XVII secolo.

1 agosto 2013

- Seduto al Caffè.



Massimo Scialoja “ Seduto al Caffè “ Planning


Tutto ciò che ci circonda è in movimento, anche se ormai non ci facciamo più caso, perché dunque dovrei pensare che la stasi è solo nella mia esistenza, nella mia mente ?

La mia irrazionale convinzione che quei valori fossero davvero imprescindibili….. l’angoscia legata alla necessità di vedere immutata la propria vita per non perdere quel poco che si ha…. e cosi…… ho smarrito la mia personalità.

C’era soltanto una possibilità per mantenere ancora in vita quel rapporto: chiarire che si doveva innanzi tutto rispettare se stessi, poi, come conseguenza, l’altro. Ma questo, avrebbe reso possibile la realizzazione di tutto il resto? Intanto solo con una maggiore tolleranza reciproca, avremmo potuto salvare un rapporto che altrimenti sarebbe andato sempre più a rotoli.


Le leggi, la morale comune, il senso politico, per non parlare poi dei mass-media ci spingono ad uniformarci l’un l’altro, appiattendoci tutti sugli stessi valori, a ragionare passivamente e a muoverci tutti insieme verso un obiettivo di cui vediamo soltanto piccoli e talvolta insignificanti particolari. Manovali in una catena di montaggio tesi esclusivamente al conseguimento del proprio piccolo pezzo finito. 

- Quando i Romani andavano in America.



Dati e informazioni scientifiche che Cadelo ha passato al setaccio insieme ad astronomi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, storici del CNR, scienziati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dell’ENEA di ammiragli e note personalità della scienza. Un viaggio unico e affascinante.
IL MESSAGGERO